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Inside Art Anno 5 Numero 46 settembre 2008



Lo stivale rovesciato

M. Zuccari G. Del Vecchio S. Cosimi

La difficoltà del paese nel comprendere l’arte contemporanea è pari a quella degli artisti nel raccontare l’oggi oltre il proprio ombelico



The Living Art Magazine


LIVING ART
Notizie Amaci, ibridazioni d’oggi di Annarita Guidi 6
Visto da Kim Joon, social tattoo di Ornella Mazzola 11
In cartellone Cosa c’è da vedere di Lorenzo Perrelli 12
Il meglio del mese di Martina Altieri
Copertina Lo stivale rovesciato di Maurizio Zuccari 17
Un’ave come una bestemmia di Gigiotto del Vecchio
Creativi allo sbaraglio, parla Giorgio van Straten di Simone Cosimi

Primo piano Michael Fliri, la poetica della maschera di Maurizio Zuccari 22
Eventi Pronti, partenza: Startmilano di Paola Buzzini 28
Le luci del centro Italia di Tobia Merlo
Musei e gallerie La mia Pescheria, colloquio con Ludovico Pratesi di Annarita Guidi 32
De Molfetta e Mondino, kitsch ma con gusto di Silvia Novelli
No gallery, scenario aperto su un’arte mai ovvia di Maria Luisa Prete
Vernissage Le inaugurazioni in Italia di Annarita Guidi 40
Indirizzi d’arte Le esposizioni in Italia di Maria Luisa Prete 42
Foto & video Gli scatti da non perdere di Giorgia Bernoni 48
Metamorfosi dei luoghi di Alessandra Vitale
In viaggio verso il sud di Anna Carone
Il sublime è illimitato di Claudia Quintieri
Talenti Tiziano Lucci, centrifuga visionaria di Claudia Quintieri 56
Inchiesta Scena romana cercasi di Simone Cosimi59
Intervista Umberto Croppi: Roma, obiettivo ordine di Alessandro Caruso 64
Mercato & mercanti Palati fini, tutti a Firenze di Elida Sergi 69
Pino Casagrande, un libero talent scout di Valentina Gramoccia
Formazione & lavoro Premio Chatwin, in cammino nel mondo di Laura Andenacci 72
Rufa, l’altra accademia di Roma di Mattia Marzo

MATERIAL ART
Architettura Biennale Venezia,fine delle costruzioni di Valentina Piscitelli 76
Undici rivoluzioni rosa di Silvia Moretti
Andrea Costa, il bello è di tutti di Maria Grazia Sorce
Metropolis Circus, poliedriche golosità di Sophie Cnapelynck 80
Design & designer Design center, le idee fanno impresa di Giulia Cavallaro 82
Taddeucci & Albanese,dissonanze creative di Giulio Spacca

ABOUT ART
Letture & fumetti Nick Hornby, una vita da profeta (pop) di Simone Cosimi 86
Quel meraviglioso fantasma bohèmien di Checchino Antonini
Cristina Fabris, se nel fetish comandano le donne di Tobia Merlo
Musica & visioni Michael Nyman, sonorità visibili di Annarita Guidi 92
Raffaele Verzillo, anime belle antipedofili di Annarita Guidi
Emma Dante, la Sicilia a teatro di Elena Mandolini
Mipiacenonmipiace Staffette d’autore di Aldo Runfola 98
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Quattro cavalieri in cerca d’autore
Maurizio Zuccari
n. 92 dicembre 2012

Lunga vita alle pin up
Serena Savelli
n. 90 ottobre 2012

La modernità come distacco
Félix Duque
n. 89 settembre 2012

L'estate che verrà
Maria Luisa Prete
n. 88 luglio-agosto 2012

Cultura:un manifesto per ripartire
Maurizio Zuccari
n. 85 aprile 2012

Mastromatteo. Il paesaggio in superficie
Maria Luisa Prete
n. 83 febbraio 2012


Claire FontaineStranieri sempre, 2005

Domenico Gnoli
Apple, 1968

Luciano Fabro
Italia d'oro, 1971

Come L’Italia d’oro di Fabro, omaggiato alla Quadriennale capitolina, come la Patria leggera della Bertusi, quest’Italia postvacanziera rassomiglia sempre più allo specchio di sé, a uno stivale rovesciato, con l’arte infilata come un calzino bucato, ma di marca. Un ministro parrocchiale della Cultura, invischiato nel classico sfondapiedi giornalistico estivo dai “fanfarazzi”, per dirlo alla sicana, ha declamato con la protervia dei savi che d’arte contemporanea non ci capisce un’acca, ma questa sta al bello come lui alla scapigliatura. La tesi, non nuova, è quella portata avanti, tra gli altri, da scapigliati veri quali Sgarbi e Daverio, peraltro ricooptati in area governativa in quel di Roma e Salemi. Al di là della polemica agostana, la questione merita ben altro spazio, ma qui preme sottolineare altro: la difficoltà di gran parte del paese, reale o legale poco importa, nel seguire i contorsionismi della creatività contemporanea ha la sua cartina di tornasole nell’incapacità della maggior parte degli artisti contemporanei di raccontare il loro tempo alzando lo sguardo dal proprio ombelico. Così la rappresentazione dell’Italia più vicina al vero è quella pasticciata dei manifesti postrotelliani di Colin, e i sedicenti artisti ridotti a essere assessori al Nulla, come il buon Cecchini chiamato dall’ottimo Sgarbi in Sicilia.
di Maurizio Zuccari

UN’AVE COME UNA BESTEMMIA
L’artista deve fare i conti con le immense contraddizioni della nostra cultura

di Gigiotto Del Vecchio*
Souvenir d’Italie? Oui, merci! Viene quasi da chiedersi quale sia il vero Colosseo, se quello che vediamo imponente e decaduto a Roma, che si staglia con le sue finestre sempre aperte, buchi nel cielo per il visitatore a testa in su, o se non sia piuttosto quello che gli stranieri portano via, in una piccola bolla di vetro scuotendo la quale un’improbabile neve scende e ne imbianca i contorni. Vien da chiedersi se l’Italia sia davvero il luogo del nostro tran tran quotidiano a Napoli, a Milano, a Roma, a Catanzaro, o magari quella del ristorante londinese, la pizzeria con il cuoco afgano, con le foto di Totò e di Sofia Loren, in cui la pasta è puntualmente scotta e il sugo zeppo d’origano, in cui l’americano affianco a te ordina la pizza hawaiana – prosciutto e ananas – e alle pareti del locale lo scudetto della Juve, del Napoli e dell’Inter coesistono in armonia. Dov’è l’Italia? La cartina geografica la indica fra il 36° e il47° parallelo, a est della Spagna, a ovest della ex Jugoslavia, bagnata dal Mediterraneo, ma la percezione non sempre la colloca lì: Italia nel nome delle Americhe, Italia del Columbus day, Italia austriaca del sud Tirolo, africana del nord a Lampedusa e poi tutti stanno bene in Italia, la conoscono ancor prima d’averla visitata, tutti dicono ciao, e bravo, anche se con diversi accenti e inclinazioni del capo. Questo perché la Grande proletaria ha un dna indiscutibilmente multietnico, che oggi si traduce nella polifonia dialettale recante la memoria del francese – in Piemonte come in Sicilia – del greco, del germanico, dell’arabo, dello spagnolo. È un albero che ha radici e ramificazioni ovunque, senza mai rinunciare a essere maestoso, imponente e rigoglioso. Le radici nelle invasioni barbariche subite e poi assimilate, i rami nella coscienza, nel sapere occidentale, passando attraverso Galileo Galilei, Leonardo da Vinci, Alessandro Volta, Guglielmo Marconi, tanto per citarne qualcuno. A volte mi capita di scorgere un po’ d’Italia, quindi un italiano, dietro i più importanti cambiamenti della storia dell’umanità… e con maggiore forza si impone la domanda, il dubbio, su questo paese ferito e che non si rinnova mai, che resta fermo e con eco medievali nella sua provincia campestre, che non supera l’età dei comuni, oggi età delle metropoli forse, nei centri urbani maggiori. La storia di un paese che non sa fare per sé, non sa darsi autonomia, politica ed economica, abituato com’è al dominio straniero. L’unità nazionale è ancora oggi vissuta come una giacca stretta, una giacca da indossare nelle occasioni ufficiali, sotto l’egida di un brutto inno nazionale: gli indipendentismi sono pane quotidiano, seppur non violentemente proposti, l’identità locale è rivendicata tanto nella cucina quanto nella lotta. Il popolo italiano è perennemente preda della sindrome del Nimby (not in my back yard: non nel mio cortile) e l’attuale crisi sulla collocazione dei rifiuti campani ne è un lampante esempio. Milano è Italia quanto lo è Napoli… però quanto poco si somiglino le maggiori città italiane fra loro è chiaramente visibile. I panni sporchi vanno lavati in famiglia, si dice, ma qui la famiglia è grande e disgregata, con lo zio d’America e il cugino impiegato delle poste a Torino, mamma toscana, papà campano. Sarebbe bello non lasciar trapelare le difficoltà del Belpaese oltre i suoi confini, ma appunto: quali sono questi confini? Come si possono tracciare segni netti e demarcare lo spazio di quest’Italia che è di tutti, che appartiene al mondo intero da sempre? Eppure il segno, il gesto, è dappertutto, sia esso monumento, architettura, scultura o quadro… la linea è stata tracciata, autocelebrativa fino al colmo, mai paga di raccontare le proprie gesta: grosso museo all’aperto l’Italia è il paese dell’arte, quella antica che vincola, e quella moderna, contemporanea, che non sempre riesce a sciogliere il vincolo e partorire il miracolo. Le arti sono il confine all’interno del quale raccontare come sia questa nazione? Certo le arti sarebbero un bel confine, proprio perché non confine o confine improponibile, quindi rispettoso della molteplice e certamente vaga natura italica. Qui da noi una forza sicura trascina il linguaggio umano verso la creazione superiore: un presagio, un contrasto o un monito, un’alchimia paesaggistica e culturale, antica, guidano sia il forestiero in visita sia l’indigeno, verso la creatività ispirata e sublime, che asseconda i moti più disperati, gli imperativi onirici, le istanze metafisiche dell’anima. In questo trascinarsi, però, trapela anche certo osceno anacronismo, un funerale al tempo che fu, al passato che schiaccia e soggioga,che si è ritualizzato nella memoria collettiva. Il monumento è il primo strumento linguistico del potere per coercire la volontà, per piegare l’individuo al volere di una divinità che è sempre altro, sempre impalpabile, lontana e indiscutibile. Le chiese, le cattedrali, tutti i luoghi di culto, sono contenitori sia della bellezza sublimata sia del terrore senza parole, del terrore muto e ubbidiente di chi sa che, nel bene o nel male, deve pagare, deve incassare una punizione proporzionale alla magnificenza di chi punisce. È per questo che l’Italia è il paese del Vaticano e, al contempo, il paese di Giordano Bruno, perché qui meglio che altrove si impara a non giocare troppo con le categorie bene/male, buono/cattivo, laddove in un’Ave si cela sempre una bestemmia. L’artista contemporaneo deve fare i conti con le immense contraddizioni che la nostra cultura porta con sé e questo immagino faciliti il compito: nulla rende l’arte più audace del mistero non risolto... In questo teatro così antico e crudele, ridanciano e soave, mentre la coscienza si allena alla generosità e alla condivisione, si ricevono tanti doni quanti se ne fanno. Per dirla alla Artaud, stare in Italia è un po’ come andare dal chirurgo, o dal dentista: si sa di non morire per questo, ma di uscirne irrimediabilmente cambiati.

*critico d’arte, curatore della mostra Italia Italie
estratto dal catalogo, cortesia Electa



LA MOSTRA/1
Italics dal ‘68 all’oggi, quarant’anni tra rivoluzione e tradizione

Italics, arte italiana fra tradizione e rivoluzione è il titolo della mostra al via il 27 settembre a palazzo Grassi, a cura di Francesco Bonami, direttore del Museum of contemporary art di Chicago. L’esposizione vuole essere un’antologia sull’arte italiana negli ultimi quarant’anni, dal 1968 all’oggi. Nonostante lo spartiacque cronologico, l’allestimento segue un percorso tematico, cercando di mettere in luce gli snodi nell’arte italiana sempre in bilico tra la ricerca di un’innovazione spesso fine a se stessa e il peso di un passato da superare ma da cui non si può prescindere. Esposti oltre 100 artisti e quasi il doppio di opere, in questa che nelle intenzioni del curatore vuole essere l’ideale prosecuzione della mostra “Italian metamorphosis” curata da Germano Celant al Guggenheim di New York nel 1995, chiusa appunto con l’affacciarsi sulla scena italiana dell’indimenticabile ‘68.«Italics vuole essere un viaggio aperto, un’occasione di sollevare più domande che risposte», sottolinea Bonami che dopo l’istituzione museale veneziana porterà la mostra al museo di Chicago, nell’intento di smuovere un po’ le acque sugli italici contemporanei. Catalogo Electa. Fino al 22 marzo 2009, palazzo Grassi, Campo san Samuele, 3231, Venezia. Info: 0415231680; www.palazzograssi.it.

LA MOSTRA/2
Italia Italie...

È stata prorogata al 21 settembre la chiusura di Italia Italie Italien ItalyWlochy, all’Arcos di Benevento. Una quarantina di artisti, italiani e non, espongono il loro Belpaese. La povertà, il confronto, la politica, il vissuto in questo teatro “antico e crudele”, per dirla come Gigiotto Del Vecchio – suo l’intervento in queste pagine, dal catalogo Electa, tra i curatori con Alessandro Rabottini, Elena Lydia Scipioni e Andrea Villani – trasmutati in arte da chi li legge in filigrana. Così,le cartoline di Arienti raccontano un’altra Italia, e il pane e sale di Mircea Cantor il suo futuro imprevedibile. Arcos, corso Garibaldi 1, Benevento. Info: 0824312465; www.museoarcos.it.

LA MOSTRA/3
Le Liturgie di Colin

«Liturgie è un lavoro sulla verità e sulla finzione. Finzione sempre più dilagante, avvolgente e che tenta di modellare le nostre coscienze». Così Gianluigi Colin (Pordenone, 1956), art director del Corriere della sera, presenta la sua ultima mostra in tandem con Opere di Roberto Micheli a palazzo Pichi Sforza (via XX settembre 134, Sansepolcro, Arezzo). È una liturgia sui linguaggi della politica, sulle figure strappate, accartocciate a terra dopo la buriana della campagna elettorale e fotografate lì, a rappresentare uno svuotamento di senso, quella messa in mostra fino 21 settembre a cura di Arturo Carlo Quintavalle (catalogo Skira). Un melting pot di facce e slogan che ricordano i decollages di Rotella, rievocano falsi sorrisi e finte promesse in un paese dove il marketing ha sostituito le idee, la lotta politica ha ceduto il passo alla farsa e al disincanto.





Van Straten: «Pochi soldi e niente sinergie: si rischia lo stallo»
CREATIVI ALLO SBARAGLIO

Simone Cosimi

Un’Italia con le cartucce in canna ma il fucile inceppato. Quasi un ferrovecchio compromesso. «Manteniamo un vantaggio nella creatività e nel design. Manca però, nonostante tanta retorica, la consapevolezza che la cultura è una risorsa centrale per il paese. Non lo capiamo». Giorgio van Straten, ex presidente dell’ente romano Palaexpò e da anni amministratore di istituzioni quali le Scuderie e la Casa del jazz, è sbarcato lo scorso anno allaguida di Federculture, l’associazione che riunisce le attività legate ad arte, cultura e tempo libero. Il V rapporto ha sfornato un’Italia «dove le priorità sono sempre altre e la cultura solo una spesa da tagliare». Il punto, dice, è che «se questo paese non investe sull’idea stessa dello sviluppo dei talenti e della creatività siamo destinati a un processo di marginalizzazione in cui la storia non ci salverà». «Purtroppo – continua van Straten – devo essere ancor più pessimista del rapporto, che si riferisce al 2007. È vero che le famiglie italiane toccano il meno possibile la parte del bilancio per la cultura, ma temo che l’anno prossimo avremo dati più oscuri». Rimane comunque un punto fermo: una parte del paese pensa che la dimensione sociale dell’approfondimento sia ancora qualcosa di rilevante. Che è poi il popolo dei musei: «Anche in questo caso, più che incrementare le visite dei grandi poli, è necessario fare rete con le migliaia di istituzioni, anche importanti come la pinacoteca di Brera, che meriterebbero certamente più visitatori. Si cresce tutti insieme». Una crescita complicata, come quella dei giovani artisti, verso i quali il presidente sente grosse responsabilità: «Mi auguro per esempio che la nuova amministrazione romana non abbandoni il centro per la produzione culturale giovanile al Mattatoio, una struttura di stampo europeo». Poco più di un mese fa van Straten ha lasciato il Palaexpò. Al suo posto Philippe Daverio: «Mi ha fatto piacere – confida – l’apprezzamento dell’amministrazione per il lavoro svolto. Al mio successore auguro che la crescita di Roma viaggi verso un respiro sempre più internazionale». E chiude, sul futuro dell’Italia creativa: «Per dirla con Gramsci, ci vuole il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. L’Italia può farcela, ma le scelte devono essere più forti e significative. Al di là dei colori politici».

FEDERCULTURE
Più ombre che luci nel V rapporto

Più ombre che luci nel V rapporto Federculture: un’Italia creativa ma non sinergica. Dagli scarsi investimenti per la ricerca (17°posto in Europa) al 21° dei musei più visitati al mondo (gli Uffizi), passando per un budget famigliare per la cultura inferiore alla media Ue (6,8%) che non impedisce però la crescita delle spese nel settore. Ma nel prossimo triennio c’è da far fronte ai 900 milioni di euro tagliati da Tremonti.