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Inside Art Anno 6 Numero 59 novembre 2009



Maurizio Savini. Un sogno di gomma rosa

Maria Luisa Prete

L’artista romano utilizza il chewing gum per parlare di ambiente e mondi possibili



The Living Art Magazine


INSIDE ART #59 - NOVEMBRE 2009
SOMMARIO


Notizie
Tunick, in vino veritas di Maria Letizia Bixio

Visto da
Il galà dei meno noti di Ornella Mazzola

In cartellone
Expo mondo di Silvia Bonaventura
Expo Italia di Camilla Mozzetti

Copertina
Talent prize, il dilemma dell’arte di Camilla Mozzetti

Primo piano
Maurizio Savini, un sogno di gomma rosa di Maria Luisa Prete

Eventi & mostre
1989-2009, Germania anno zero di Elida Sergi
Antoni Tàpies, segni di tempo e materia di Alessio De Grano

Musei & gallerie
Palazzo Fabroni, dialoghi contemporanei di Lori Albanese
Spazio 81, scatti sperimentali di Paola Buzzini

Vernissage
Le inaugurazioni in Italia di Margherita Criscuolo
Indirizzi d’arte
Le esposizioni in Italia di Maria Luisa Prete
Controstoria dell’arte
Quel baraccone del Partenone di Pablo Echaurren

Foto & video
Lucca in digitale di Alessandra Vitale
Gli scatti da non perdere di Giorgia Bernoni
Foto box, un ricco album di ricordi di Giorgia Bernoni
Invideo, destinazione senza meta di Claudia Quintieri

Talenti
Deriu-Mezzapelle, tempi d’acqua e di cristallo di Monia Marchionni

Mercato & mercanti
Emmanuele F. M. Emanuele, l’ultimo dei mecenati di Guido Talarico
Artissima, accrescere l’ascolto di Flavia Montecchi
Aste, trasferte d’autore di Elida Sergi
Mipiacenonmipiace
Intimità senza poesia di Aldo Runfola

Formazione & lavoro
Pellicole indipendenti di Laura Andrenacci
Abav, il cuore della Tuscia di Mattia Marzo

Architettura
Audi, autovetture ad arte di Silvia Bonaventura
Lo stealth sorvola l’Olgiata di Maria Letizia Bixio

Metropolis
Universi paralleli di Maria Letizia Bixio

Design & designer
La Farnesina si rifà il trucco di Raffaella Rossetti
Esercizi di stile di Chiara Perazzoli
Tutti i nodi della storia di Raffaella Rossetti

Letture & fumetti
Futurismo, l’ultima avanguardia di Claudia Salaris

Musica & visioni
Dente, cantautori si nasce(va) di Simone Cosimi
Francis Ford Coppola, tetri legami di sangue di Annarita Guidi
Angeli Usa di Elena Mandolini
L’opera benedetta
Il mitico Garouste di Benedetta Geronzi
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Félix Duque
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L'estate che verrà
Maria Luisa Prete
n. 88 luglio-agosto 2012

Cultura:un manifesto per ripartire
Maurizio Zuccari
n. 85 aprile 2012

Mastromatteo. Il paesaggio in superficie
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Una casa studio a San Lorenzo, il quartiere capitolino di studenti e artisti, colma di oggetti rosa. «Già, quasi tutti regali di amici», racconta Maurizio Savini, l’artista romano noto per le sculture realizzate con il chewing gum dall’inconfondibile impronta cromatica. La prima domanda è quindi d’obbligo e riguarda la scelta del materiale. «La cosa più interessante per me – spiega Savini – era il colore, ho sempre pensato che il rosa fosse un colore del tutto artificiale. Il rosa è di plastica. Andavo alla ricerca di questo, ma non è stato semplice approdare alla gomma da masticare. Poi, come un trovatore, sono incappato nell’applicazione senza cercarla. L’ho trovata casualmente nella spazzatura: cinque scatole di gomme scadute gettate dal tabaccaio sotto casa. Dopo vari tentativi ho cominciato a perfezionarmi con un omaggio a Pino Pascali, realizzando una pistola Uzi. Nel 1997 mi hanno invitato alla festa dell’arte al Macro, curata da Ludovico Pratesi, insieme ad altri artisti contemporanei. Ho portato quella pistola, all’insaputa di Pratesi, ottenendo un grande successo. Da lì è iniziato tutto, anche se agli animali sono approdato solo nel 2008».

Un’opera per tutte, quella presentata alla Quadriennale di Roma, “Destined for nothing”, un orso appoggiato a una porta. «In questo caso – spiega Savini – si tratta di planimetrie ribaltate, stanze cieche dove non si capisce il dentro e il fuori, lì inserisco la lampadina come elemento bidimensionale. C’è un lavoro sul capovolgimento dello spazio e sulla luce della pittura. L’orso spinge la porta, non si capisce se vuole entrare o uscire. Lo spettatore lo guarda dallo spioncino e non capisce neppure lui se è dentro o fuori. Volevo trasformare lo spazio in qualcos’altro, utilizzando solo una porta».
Sarebbe riduttivo presentare Maurizio Savini parlando solo degli animali scolpiti con il chewing gum. La sua storia creativa è più complessa. «Non mi considero un eclettico – dice – ma credo che nell’arte sia fondamentale la sperimentazione. Non sono una farfalla che svolazza a destra e a sinistra, piuttosto faccio dei piccoli nidi come i castori. I mezzi che abbiamo a disposizione sono tanti. Quando penso a un progetto non necessariamente decido che devo realizzarlo in scultura». E sperimentazione sia. Di linguaggi. Di tecniche. Di temi. Fusione attenta di medium ogni volta diversi per realizzare progetti che siano il più possibile convincenti. Caleidoscopio di immagini accattivanti e ironiche proiezioni del reale e delle sue più toccanti urgenze, da quella ambientalista a quella relativa ai difficili ingranaggi dell’integrazione, passando per una riflessione dissacrante sui farraginosi meccanismi dell’economia.

Una produzione eterogenea, sostenuta dai tanti interessi di Savini: «Studi di architettura interrotti, laurea in storia dell’arte e dello spettacolo. Il passaggio – racconta – è avvenuto in famiglia, ho vissuto con mio nonno, architetto e scultore, che mi ha suggerito di studiare appunto architettura. Quando è morto sono passato a lettere, ma avevo un grande amore per il cinema e alla fine mi sono laureato con una tesi su Francis Bacon e David Linch. Fin da piccolo organizzavo spettacoli e teatrini, ho sempre dipinto e amato la musica, ho lavorato a teatro realizzando delle scenografie, facendo da assistente a Gianni Dessì. Ho ricevuto l’incarico come scenografo per il Maggio musicale fiorentino, ma ho lasciato questo mestiere perché mi sono reso conto che mi stavo allontanando da ciò che volevo fare realmente. Ho iniziato dipingendo olio su tela fino al 1996, poi ho realizzato performance e video, oltre alle sculture».

Un percorso sorretto dalle esperienze maturate nel corso degli anni. «La scenografia – afferma – è stata una scuola incredibile, mi ha aiutato moltissimo anche nell’ultima mostra alla galleria Oredaria, un posto molto bello ma difficilissimo, dove ho risolto il problema dello spazio grazie all’esperienza fatta lavorando per il teatro. Anche la musica è una parte fondamentale della mia vita». E proprio tra gli archi suggestivi della galleria romana si dischiude il nuovo lavoro dell’artista dove installazioni, sculture e quadri si intrecciano a creare un racconto coerente e dal sapore utopistico. «Nella mostra “Tomorrow” – spiega Savini – mi interessava dare una visione d’insieme su un domani vicino. Ho fatto un lavoro sull’economia, sulla geopolitica, sugli spostamenti che non vengono segnati sulle carte geografiche, di quei piccoli stati che si creano all’interno di altri stati, all’interno delle grandi città. L’Europa è un grosso contenitore di piccoli stati, è un paese giovane e gli spostamenti creano conflitti razziali e tensioni, come in Italia». «Da Oredaria – continua – parlo della figura del manager, soggetto che realizzo da anni. C’è in questa sorta di lavatoio ricreato nella galleria romana l’allusione all’uomo d’affari “ambientale” che non si occupa di ambiente, ma di trarre profitti con un nuovo modo di far circolare il denaro, una visione utopistica, anarchica e certo non specialistica, ma in cui credo. Anche in questo caso ho utilizzato quello che mi serviva che non è necessariamente solo la gomma americana».

Certo l’utilizzo di un materiale di largo consumo lo ancora alla categoria degli artisti neopop, anche se Savini su questo ha giustamente da ridire: «Non credo che all’arte servano definizioni, il problema è che abbiamo bisogno di classificazioni per fare ordine, per attuare delle scelte». E la sua scelta è quella di continuare a sognare, anche quando i sogni sono fatti di gomma.