Inside Art Anno 7 Numero 62 febbraio 2010
Il centro d’Italia, tra arretratezza culturale e voglia di cambiamento
E’ racchiusa dalle montagne, a pochi chilometri da Roma. Geograficamente è il centro esatto del paese, l’ombelico d’Italia, ma di questo pochi ne sono a conoscenza, molti ancora la confondono per una città umbra invece che laziale. Ignoranza? No, puro disinteresse. Rieti è un vecchio borgo di provincia che vanta 55mila abitanti e ben pochi luoghi d’incontro e di scambio culturale per un alto numero di persone. Artisticamente è una città viva, eppure sonnolenta. Viva perché di giovani intuizioni le sue vie sono piene, dalla fotografia alla scultura senza tralasciare la pittura, eppure sonnolenta perché guarda con molto poco interesse all’arte contemporanea. Legata al passato in maniera viscerale, l’avanguardismo figurativo è, per molti, un suono impercettibile, per altri addirittura un ronzio fastidioso. Non è Foligno, non è Viterbo, non è Terni: città queste che, nel corso degli anni, hanno puntato sulle nuove espressioni artistiche riuscendo ad affermarsi nel panorama contemporaneo. A Rieti questo non è successo. Almeno per il momento. Probabili fallaci campagne comunicative e organizzative, altrettante errate politiche amministrative, fatto sta che per chi ha tentato di portare l’arte contemporanea nel centro d’Italia non pochi sono stati i sacrifici che ha dovuto pagare, con il risultato, poi, di non imprimere alcun segno di rottura. Oltre la beffa, direbbe qualcuno, pure l’inganno. A detta dell’assessore ai Beni culturali, Gianfranco Formichetti, l’avversione verso nuove forme e stili d’arte deriva in parte dal background culturale della popolazione reatina. «La città è geograficamente chiusa; fino agli anni Sessanta era in fondo alla lista per tasso d’alfabetizzazione e diffusione culturale, poi l’interesse per nuovi generi artistici è stato sempre molto relativo. Siamo una città tradizionalista.» Si percepisce un vago tono discriminatorio verso tutto quello che può riguardare il contemporaneo e questa discriminante è evidente sopratutto nei contributi comunali e amministrativi che puntano a sottolineare quello che già c’è, quello che già piace, quello che tira di più. Basti vedere il cartellone della stagione teatrale del Flavio Vespasiano, uno dei migliori teatri d’Italia per l’acustica, e capire quale sia l’importanza data a nuove forme e stili d’arte. Rieti è tradizionalista, e se da una parte può essere un pregio dall’altra è una arma che si punta addosso da sola.
«Un debole segnale di cambiamento – continua l’assessore – c’è stato. Basti pensare al Reate festival lo scorso agosto. Sembrava di essere al festival dei Due mondi di Spoleto, per l’atmosfera che si era creata.» Vero. In quei giorni la città respirava qualcosa di nuovo, ma quel vento se ne è andato senza lasciare tracce troppo evidenti. C’è anche il premio letterario, arrivato quest’anno alla sua seconda edizione che ha la missione di promuovere un testo particolarmente significativo nell’ambito della letteratura contemporanea. Il primo premio? Ben 7.500 euro. Ma c’è un problema: se è vero che il bisogno genera la domanda, spesso ripagata da una giusta offerta, a Rieti l’altro aspetto critico è l’insufficienza del bisogno d’arte richiesto dai cittadini. C’è un marcato disinteresse collettivo che si guarda bene dal legarsi troppo ad eventi, mostre, iniziative culturali. E non importa che si chiamino moderne o contemporanee, vengono ugualmente fuggite. I veri centri culturali si possono contare sulle dita di una mano e l’affluenza che giornalmente ricevono, escluse le scolaresche, è molto limitata. Più ampie invece sono le organizzazioni pubbliche e private, come le associazioni che soprattutto in provincia promuovono annualmente delle lodevoli iniziative e che cercano, da una parte, di dar voce a un gruppo di artisti locali che cerca di affermarsi, come Filippo Maria Gianfelice, il gruppo Artemad, Giovanni Chiarinelli e Tito Marci tanto per citare i più noti, e dall’altra imprimere un cambiamento nello scenario artistico reatino. Ma la sproporzione tra vecchio e nuovo rimane evidente. Se si fa un giro per le strade di Rieti, per i suoi musei, quello che balza inevitabilmente agli occhi è questo: l’arte c’è ma non è di certo contemporanea. Il centro della città offre una serie di occasioni artistiche classiche come la biblioteca Paroniana con un’intera sezione dedicata a importanti volumi storici, quali le opere di Galileo Galilei, che vengono però lasciate nelle sale meno frequentate per paura che possano rovinarsi, alcuni ricercatissimi atlanti geografici risalenti al 1600, e un nuovo museo archeologico nel retro della struttura; museo che per ben sei mesi, dall’8 maggio al 22 novembre dello scorso anno ha ospitato la mostra Reate e l’Ager Reatinus, un’esposizione che ha voluto ripercorre re la vita di Flavio Vespasiano, partendo dalle sue origini sabine fino alla sua nomina a imperatore di Roma nel 69 a.C. La mostra, inoltre, era collegata al circuito della grande esposizione, tenutasi lo scorso anno nella capitale, Divus Vespasianus, in occasione dei duemila anni dell’imperatore romano. E poi ancora il Museo civico reatino, all’interno del palazzo comunale, che propone un recente allestimento realizzato nel 2000. Nelle undici sale che compongono il museo si possono ammirare il trittico firmato da Zannino di Pietro, Crocifissione e santi del 1404 e opere di Carlo Cesi, Giovan Battista Benaschi, persino un’opera di Antonio Canova, Ebe, nonché una sintesi efficace del lavoro di Antonino Calcagnadoro. Insomma difficile poter trovare una città altrettanto affezionata ai più classici periodi artistici di quanto non lo sia Rieti. Se si cerca invece di trovare il contemporaneo l’impresa non è impossibile ma quantomeno impegnativa. Vicino alla piazza simbolo del centro d’Italia c’è la galleria d’arte Trecinque guidata da Marco Scopigno e Maddalena Mauri. La galleria è l’unico vero centro d’arte contemporanea che la città vanta. Nelle sue sale, due per la precisione, da circa quattro anni vengono ospitati i lavori di artisti noti e meno noti dello scenario nazionale e non solo. Tra le personali che verranno inaugurate nel corso del 2010 ci sono quella di Paolo Angelosanto, Eugenio Percossi, il reatino Vasco Ciaramelletti, Oscar Netto, Nicola Bragantini, e Daniela Huerta. Dietro di loro si sono susseguite le mostre di Matteo Montani, Julia Bornefeld, la recentissima Pesca milagrosa di Carlos Motta, composta da un centinaio di fotografie sfocate di volti innocenti, vittime di sparizioni forzate in quella Colombia segnata da violenti conflitti che coinvolgono gruppi di ribelli armati gestiti dai cartelli della droga. Oltre alla galleria, da diversi anni è attiva nello scenario cittadino l’associazione Studio 7 guidata da Barbara Pavan che in maniera del tutto autonoma, grazie alla maggioranza dei contributi privati, organizza un’apprezzabile quantità di esposizioni, principalmente fotografiche di artisti locali e non, propensi a trovare nuovi stili e forme espressive, cercando di smuovere il sonnolento sostrato urbano ad affezionarsi a questo genere. Studio 7 può contare, poi, sul sostegno della libreria Moderna che ciclicamente ospita parti delle mostre principali allestite o a palazzo Marco Tulli, sede dell’associazione o nello Studio 7 di via Pennina, in più organizza delle collettive fuori da Rieti per permettere ai giovani artisti della città di farsi conoscere in altri centri. Una rete di persone interessate al contemporaneo che vedono, nelle sue manifestazioni e nella loro valorizzazione attraverso l’allestimento di eventi creativi, un’occasione di confronto, di maturazione intellettuale e sociale e di riflessione sulla nostra contemporanietà.
Ma il vero, e forse unico punto di forza che Rieti ha nel campo del contemporaneo, è 20 eventi, la mainifestazione organizzata da Alberto Tessore e dall’associazione Arte multi visione che dal 2006 promuove nella provincia della città una lodevole iniziativa legata all’arte contemporenea. La sua filosofia è quella di invitare giovani artisti di accademie internazionali a partecipare alla realizzazione di un evento innovativo sia nella concezione stessa dell’arte, che nello sforzo di farla vivere al pubblico. L’obiettivo, invece, è quello di far creare ai giovani artisti opere “in situ” cercando di unire un complesso provinciale che va da Toffia a Casperia, da Fara Sabina a Farfa, da Castel San Pietro a Bocchignano sotto un unico nome: contemporaneo. E il successo di quest’iniziativa è innegabile. Sono i numeri della trascorsa edizione a parlare: 9 paesi partecipanti, 116 giovani artisti, 110 opere, 55 ospiti importanti, 10 accademie internazionali coinvolte. E Rieti? Vive all’ombra. Sembrerebbe paradossale eppure è così: la discrepanza tra il centro città e la provincia in merito all’arte contemporena è notevole. Qui ad aiutare Tessore ci sono i principali soggetti amministrativi, dall’assessorato alla Cultura e al turismo della provincia di Rieti, alla Camera di commercio, dalla regione fino al priore dell’abbazia di Farfa che ha accolto l’iniziativa, con un’estremo entusiasmo, come ricorda Tessore, mentre la Pavan della Studio 7 o Scopigno e la Mauri della Trecinque contemporanea nuotano da soli.
«Le difficoltà che abbiamo incontrato dal 2006» ricorda Tessore «non sono state insormmontabili, certo è che per promuovere l’arte contemporenea a Rieti i sacrifici da fare sono molti. In provincia è diverso, c’è un’attenzione che non è figlia di un pregiudizio discriminante, c’è voglia di scoprire e di conoscere nuovi stili d’arte. In questo Rieti è ancora molto lontana. Ma non mi ritengo un pessimista, al contrario. Basti vedere l’affluenza che c’era fino a qualche anno fa al Macro di Roma per capire che il problema legato all’arte contemporanea non è una patologia esclusivamente reatina, c’è una diffidenza che parte dalla gente, prima di tutto, verso forme nuove, figuriamoci come può essere quella della popolazione di Rieti che è ancora troppo legata al passato per poter apprezzare nuove espressioni». Insomma il problema sembra essere oltre che di forma principalmente di struttura.
«La preoccupazione è capire se questa patologia, nello specifico quello reatina» conclude Tessore «non si tramuti in un morbo inguaribile».