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Inside Art Anno 7 Numero 70 novembre 2010



Ballando tristi milonghe savoiarde

Maria Luisa Prete

Anche l’arte contemporanea celebra l’anniversario dell’unità: mostre sospese tra malinconia e denuncia beffarda



The Living Art Magazine


Sommario Inside Art #70 – novembre 2010

Notizie
Palaexpò, Roma guarda all’Europa di Giorgia Bernoni

Visto da
Il potere e il gusto di esibirlo di Ornella Mazzola

In cartellone
Expo mondo di Simone Cosimi
Expo Italia di Camilla Mozzetti

Copertina
Viaggio in Italia, ballando tristi milonghe savoiarde di Maria Luisa Prete
Un paese a pezzi di Ludovico Pratesi
Belpaese, fonte d’ispirazione perduta, conversazione con Hans U. Obrist
A colpi di fioretto di Francesca Gattoni

Primo piano
Vanni Cuoghi, bislacche fiabe crudeli di Maurizio Zuccari

Eventi & mostre
Lucca digital photo fest, protagoniste in rosa di Giorgia Bernoni
Terre vulnerabili, insieme con fragilità di Silvia Moretti
Macro, un autunno da brividi di Maria Letizia Bixio

Musei & gallerie
Torino, palazzo Bertalazone tra passato e futuro di Camilla Mozzetti
Brand new gallery, globalizzazione d’élite di Valentina Cavera

Vernissage
Le inaugurazioni in Italia di Emma Martano

Indirizzi d’arte
Le esposizioni in Italia di Maria Luisa Prete

Foto & video
Gli scatti da non perdere di Giorgia Bernoni
Decade, storia di un decennio di Alessandra Vitale
Igor & Svetlana Kopystiansky, a ritroso nel tempo di Claudia Quintieri

Unpòporno
Angelo Cricchi, l’eleganza dell’eros di Serena Savelli

Talenti
Natalia Saurin, favole acerbe contro gli inganni del mondo di V. Cavera

Controstoria dell’arte
Nigrizia cubista di Pablo Echaurren

Argomenti
Arte & pubblicità, lo shopping diventa creativo di Massimo Canorro

Mercato & mercanti
Aste, cifra tonda per Manzoni di Elida Sergi
Dalla soda alla Coca Cola di Stefano Cosenz
Marrakech, la città rossa in fair di Maria Luisa Prete
Londra, brividi da Frieze di Nicoletta Zanella
Artissima rilancia gli anni ‘70 di Marilisa Rizzitelli

Mipiacenonmipiace
Carne & sangue di Aldo Runfola

Formazione & lavoro
Sanremo, fuori dalla crisi grazie alla qualità di Mattia Marzo
Torino, la natura del creatore di Alessia Cervio
Architettura
Michael Lin, geometrie del quotidiano di Federica Chezzi
Maranello, una torre di rosso vestita di Simone Cosimi

Metropolis
Gombit, un bivio di storia fra design e stile di Sophie Cnapelynck

Design & designer
Marco Carnevale, il linguaggio della crisi di Giulio Spacca
Esercizi di stile di Chiara Perazzoli
Storie scritte sulla sabbia di Raffaella Rossetti
Letture & fumetti
Alessandro Baricco, narrare al tempo di internet di Maurizio Zuccari
Alpi, Bologna, Ustica: misteri di carta di Claudia Catalli

Musica & visioni
Denise, con la testa fra le nuvole di Simone Cosimi
Adriana Asti, un quotidiano borghese di Elena Mandolini
Noi credevamo, un mezzo risorgimento di Claudia Catalli

L’opera benedetta
Così è se vi Panda di Benedetta Geronzi
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Quattro cavalieri in cerca d’autore
Maurizio Zuccari
n. 92 dicembre 2012

Lunga vita alle pin up
Serena Savelli
n. 90 ottobre 2012

La modernità come distacco
Félix Duque
n. 89 settembre 2012

L'estate che verrà
Maria Luisa Prete
n. 88 luglio-agosto 2012

Cultura:un manifesto per ripartire
Maurizio Zuccari
n. 85 aprile 2012

Mastromatteo. Il paesaggio in superficie
Maria Luisa Prete
n. 83 febbraio 2012


Cosa rimane del sogno unitario?
Nel 1861, dopo l’eroico sbarco dei Mille, la cacciata dello straniero e la conseguente costituzione del regno d’Italia, la nazione sembrava essersi costituita. E già allora qualche dubbio veniva, a ragione, sollevato.
Perché un paese diviso per millenni, adesso doveva farsi nazione universalmente riconosciuta?
Perché un popolo, frastagliato in mille rivoli linguistici e culturali, doveva condividere un solo sentire e un solo sentirsi orgogliosamente italiano?
I ragazzetti partiti da Quarto e gli altri che dopo di essi hanno combattuto dovevano crederci anche solo per motivi anagrafici: la gioventù amplifica le passioni e le rende inattaccabili in ogni epoca. Poi qualcuno più maturo, per calcolo e opportunità, ne dirige la potenza a proprio vantaggio.
Potrebbe essere una cinica spiegazione viste le tristi derive della penisola.
Il bianco della neve, il verde della speranza, il rosso del sangue versato su bandiere che oggi al massimo sventolano per onorare un campo verde e undici ometti vestiti d’azzurro. E mentre l’ultimo erede dei Savoia, baldanzoso, delizia gli spettatori del prime time della rete televisiva ammiraglia con passi di milonga e tango argentino, le mitiche camice rosse dell’unità vengono soppiantate da quelle verdi della secessione. Italia allo sbando, fragile e alla ricerca perenne d’identità.
Anche l’arte non può esimersi dal registrare l’attuale stato. In pochi, in verità, si cimentano nell’impresa.
E i temerari non possono che soffermarsi, con beffarda ironia e un adeguato taglio malinconico, sullo stato delle cose. Sono lontani i tempi del coinvolgente Bacio di Francesco Hayez, che suggellava un’alleanza foriera di libertà con l’Italia e la Francia, nell’ultima versione dell’opera, nei panni di giovani amanti appassionati.
Oggi l’unica Italia possibile sembra quella rappresentata da Stefano Arienti: fatta di cocci, a cui faticosamente si cerca di dare almeno la necessaria forma. Gli eventi espositivi dedicati all’anniversario della patria marciano sulla stessa linea.
La creazione artistica guarda allo stivale con rassegnazione.
Guarda e poi volta la testa dall’altra parte.
Sentimentalismi borghesi. Non è tempo di grandi passioni. Almeno non di quelle che dovrebbero animare le attese celebrazioni dei 150 anni dell’Unità. Oggi suona così ironico quel monito: «Qui si fa l’Italia o si muore».
Lo disse Garibaldi o era De Gregori?