Urban Anno 6 Numero 50 luglio-agosto 2006
Più di 500 partecipanti, 20 selezionati. Un vincitore e un artista che per Urban creerà una copertina ad hoc. Lo dicono i numeri del premio di Italian Factory: sotto i 30 la pittura c’è
C’è una nuovissima generazione di artisti che ha ricominciato a utilizzare con intelligenza e una forte consapevolezza il più antico dei mezzi artistici, quello della pittura, sapendolo ibridare e contaminare con altri linguaggi tratti dalla più stretta contemporaneità, dalla fotografia al fumetto fino alla scultura e alla pratica installativa.
Di questa generazione, oggi, abbiamo potuto vedere uno spaccato fortemente significativo nel Premio Italian Factory per la giovane pittura italiana, del quale Urban è partner, e al quale ha partecipato in maniera diretta con un Premio speciale Urban assegnato a Maurizio Carriero.
Al Premio Italian Factory, infatti (che è stato invece vinto dal ventiseienne forlivese Cristiano Tassinari), hanno partecipato oltre 500 giovani artisti under 30 da tutt’Italia, dando nel complesso l’idea di una generazione nuovissima, capace di mixare tra loro le più disparate suggestioni, dalla lezione della tradizione classica italiana alle citazioni ipercontemporanee, a riferimenti culturali ibridi e multiculturali, suggestioni pop, afflati romantici e citazioni di stampo postmoderno: un vero e proprio mix di tradizione e innovazione, intelligenza e spregiudicatezza, attenzione al mestiere senza complessi o derive passatiste o neocitazioniste.
Tra questi 500 giovani partecipanti (dei quali la maggior parte, il 52%, proveniva dal nord, contro un 21% proveniente dal centro Italia e un 27% dal sud), è stata selezionata una rosa di 20 finalisti, che, nella diversità delle tecniche utilizzate, dei riferimenti culturali sottintesi o delle diverse declinazioni stilistiche, ben rappresentavano le diverse inclinazioni che oggi la pittura italiana è in grado di rappresentare: tra loro, infatti, c’è chi rielabora e ridefinisce l’idea tradizionale di ritratto mescolandolo con il gioco della citazione colta in un dialogo a distanza con le esperienze delle avanguardie storiche (Maurizio Carriero) e chi lavora, con un mix di riferimenti classici e una forte tensione concettuale, sull’idea della stratificazione del tempo e del segno, pur all’interno dello specifico del linguaggio pittorico (Cristiano Tassinari); chi gioca, con grande libertà e un forte impatto coloristico, con le immagini della nostra memoria visiva condivisa, spaziando tra i più vari riferimenti culturali, letterari e cinematografici (come nel caso della seconda classificata, Svitlana Grebenyuk) e chi si affida al rigore di una tecnica consolidata (Mimmo Centonze); chi utilizza l’acquerello per “correggere” drammaticamente un volto (Emilia Faro) e chi con olio e bitume scalfisce la superficie delle cose (Ettore Frani), o ancora chi ritrae l’uomo a metà tra sapienza pittorica tradizionale e gioco installativo (Piero 1/2 Botta); in particolare, la figura umana viene affrontata con la tragicità cupa dell’espressionismo tedesco (Simona Bramati) o con il mimetismo fotografico dell’iperrealismo (Cora Chiavedale), con i travestimenti femministi e i condizionamenti della moda (Annaclara Di Biase) o con i riferimenti alla propria autobiografia privata (Andrea D’Aguanno), con la levità estatica di una visione (Daniele Giunta) o con la vivacità sbiadita dell’adolescenza (Marco Salvetti). Ci sono poi scene familiari descritte con la deformazione sintetica di forme e colori (Nebojša Despotovic), drammatici paesaggi urbani carichi della memoria storica e famigliare (Beli Karanovic) o calligrafie della natura con la sottile filigrana dell’Oriente (Raffaele Collu).
Per arrivare infine a contaminazioni grafiche, illustrative e pittoriche (Fabio Coruzzi), a composizioni dense in cui si intrecciano colori, forme e contorni (Cristiana Depedrini), a caotici collage di immagini e parole (Paola Ferla) e a bizzarre iconografie onirico-fiabesche (Daniela Perdetti) che rimandano al clima dell’illustrazione o della street art.
Quanto ai punti di riferimento di questi artisti, si spazia da Caravaggio a Rembrandt a Schiele, e poi Bacon, Giacometti, Freud, Basquiat, Richter, Tuymans e Dumas tra i contemporanei. Una scelta davvero singolare, circoscritta a un’arte figurativa che a partire dalle esperienze di Caravaggio e Rembrandt, affronta il dramma esistenziale dell’uomo; scelta che si ripresenta anche nelle letture preferite, che spaziano dalla Bibbia (serbatoio di motivi, spunti e sentimenti) alla letteratura e filosofia esistenzialista di Sartre, Nietzsche, Camus, Saramago e Hesse per appuntarsi sulle Memorie di Adriano della Yourcenar; mentre in ambito musicale prevale la contaminazione di generi e autori, che alterna la musica classica al punk rock, l’elettronica al crossover, nel cinema la concordanza di gusti viene provata dalla predilezione di due registi, Kubrick e Fellini, che, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro, si distinguono nel panorama cinematografico per lo stretto rapporto tra l’aspetto narrativo e quello visivo e per la particolare attenzione alla forma e al linguaggio.
Uno spaccato generazionale che dimostra che qualcosa è davvero cambiato, e sta tutt’ora cambiando, nell’arte contemporanea italiana. In questi anni si è infatti assistito a una forte inversione di rotta nell’approccio artistico da parte delle generazioni più giovani.
Di contro a una linea palesemente dominante fino a pochi anni fa, quella appunto di marca vagamente neodada e dagli evidenti retaggi concettuali, dove il rifiuto dello stile (di uno stile unificante e caratterizzante il lavoro dell’artista) e dell’identificazione con un singolo linguaggio appariva come uno degli elementi centrali e fondanti, è infatti emerso, in questi ultimi anni, un atteggiamento di maggiore leggerezza e fluidità nell’approccio all’opera, che ha permesso agli artisti di avvicinarsi con un atteggiamento più laico e meno ideologico alla stessa pratica artistica, attraversando trasversalmente il grande bacino della storia dell’arte come quello della quotidianità o della cronaca senza complessi passatisti o atteggiamenti forzatamente intellettualistici. E tornando a confrontarsi coi problemi del linguaggio: in particolare, appunto, quello pittorico, oggi più vivo e dinamico che mai.
Così, se in tutt’Europa è emersa una generazione di pittori (e di scultori) fortemente connotata e coerente, seppure con grandi differenze stilistiche e contenutistiche, che ha ripreso a lavorare approfonditamente sullo specifico della propria tradizione linguistica, sulla sua storia e sulla sua trasformazione, riallacciandosi alle diverse koiné nazionali e regionali presenti nei propri paesi d’origine (pensiamo alla tradizione della pittura anglossassone, fortemente connotata e di grande impatto e novità, anche nelle sue più recenti declinazioni, o a quella tedesca, che in questi ultimi anni è tornata ad avere grande slancio con forti connotazioni di realismo sociale), in Italia la nuova generazione di pittori ha subito un fortissimo processo di rinnovamento e di rielaborazione critica, distinguendosi per alcune caratteristiche di base, che da una parte la inseriscono perfettamente e coerentemente nel più generale clima di risveglio e ridefinizione di una nuova pittura intelligente, ironica, coltissima ma insofferente all’ormai fin troppo trito gioco della citazione e del repêchage di marca postmoderna che aveva invece caratterizzato la generazione precedente e dall’altra la sta imponendo come una delle esperienze più interessanti e nuove della più recente scena artistica europea.
La generazione a cui noi tutti, oggi, guardiamo con interesse, curiosità, entusiasmo. Facciamoli crescere, facciamoli lavorare. Ci riserveranno delle sorprese.