Urban Anno 6 Numero 53 novembre 2006
Più che l’ennesima rassegna cinematografica, una provvidenziale boccata di aria fresca newyorchese, dove la bici è uno stile di vita. A Milano, la prima edizione italiana del Bicycle Film Festival.
Bicycle Film Festival. La prima cosa che abbiamo pensato è che si entrasse in bicicletta. E che all’interno del cinema ci fossero rastrelliere numerate al posto di comode poltrone. Un drive-in a tutti gli effetti. Ma non è nulla di tutto questo. Le biciclette contano, certo, ma si muoveranno sullo schermo. Le altre si fermeranno fuori, dal cinema Mexico, che ospiterà la prima edizione italiana, e milanese, dell’iniziativa. Dal 1° al 3 dicembre.
Celebrazione delle macchine a pedali e degli stili di vita che vi ruotano (come d’uopo) intorno, questo festival nasce sei anni fa per un incidente del newyorchese Brendt Barbur: scampato a un impatto mortale a bordo della bicicletta, al posto di eliminarla dalla sua vita decide di celebrarla.
Terapia d’urto o amore profuso verso il proprio carnefice che sia, Brendt inizia a raccogliere questi piccoli gioielli di filmografia indipendente da tutto il mondo. E il Bicycle Film Festival continua a ingrassare le sue file e ad ampliare il suo tour, partito la scorsa primavera da New York, passato per Los Angeles, Chicago, Londra, San Francisco, Sydney, Melbourne, Tokyo e Kyoto per arrivare a Milano.
Tanto per intuire il personaggio: Brendt Barbur dorme sul divano di casa di uno degli organizzatori e gira Milano con una bici in prestito, una Graziella competition, anche se sembra un ossimoro. Alla sua missione e dichiarazione d’amore per la bicicletta in città, si aggiunge l’intenzione squisitamente italiana dell’organizzazione: cambiare il nostro immaginario collettivo che vede l’idea un po’ naif, quasi sfigata, della bicicletta. Soprattutto nel tessuto urbano. E il modo più potente per cambiare l’immaginario è offrirgli un’altra immagine.
Quindi: cinema.
E si cambia marcia velocemente quando sullo schermo si scoprono gruppi di ciclisti come i Bike messengers, corrieri a pedali vagamente simili a Sagittari, metà uomini e metà bici.
Sono una sorta di collettivo urbano: hanno siti, raduni, film, ma nessuna intenzione militante o ambientalista, solo un legame viscerale con la città. Vivono in strada, in mezzo alle auto, e consegnano a velocità impensabili le loro commesse. Il film che li vede protagonisti si intitola Pedal, di Peter Sutherland, ed è girato nei vicoli di New York, quelli con il bidone della spazzatura e le scale antincendio, scale che diventano anche gli spalti per assistere alle gare a eliminazione diretta di questi Alley cats, gatti randagi, come si fanno chiamare, con le loro bici a scatto fisso e, per i più invasati, senza freni.
Bici/protesi, per fattorini da record.
I film, che hanno lunghezze che vanno dai due minuti ai 90, provengono soprattutto dal mondo anglosassone e tedesco, ma quest’anno ci sono anche tre pellicole italiane. Live Bicycle, un raduno colorato e irriverente a Roma. Skid on, gara di skidding – sgommate – in una Milano notturna e immobile. E Clorophilla, che non è città ma natura estrema, esaltata da sei ciclisti/filmmaker. Questa tappa italiana serve infatti anche a stimolare nuove produzioni di casa nostra da proporre nelle prossime edizioni.
Una, freschissima, ultimata in questi giorni che anticipano il festival e che sarà inserita nella programmazione s’intitola Baci più Bici, della kbk production. Per prepararlo, sono state invitate delle coppie a presentarsi nei luoghi della city per darsene di tutti i generi: d’amore, d’affetto, d’amicizia, ma anche di Giuda.
Nessuna epica, ma in attesa di un petting con l’urbe un po’ più spinto, accontentiamoci di questo montaggio di momenti a bordo del sellino e a labbra incollate. L’anteprima di questo collage sarà presentata al centro sociale Conchetta giovedì 23 novembre.
Cavalieri che non si presterebbero invece mai a baciare su richiesta sono i Black Label da Brooklyn. Con i loro destrieri – bici a due piani, una sopra l’altra – li vedremo sfidarsi in tornei dove lo scopo è disarcionare la bici avversa puntandosi in velocità con delle aste, come moderni cavalieri medievali. Il bacio della dama, solo dopo, al vincitore.
Tensione opposta, né artistica né militante, per gli studenti super liberal di San Francisco: nel film MASH di Mike Martin la bici autocostruita a scatto fisso è pura moda, costume. L’autore è lo stesso che ha ripreso la San Francisco degli skater e dei surfer, anch’essi tutt’uno col mezzo, di puro equilibrio, e americani al midollo. Questi studenti incollati ai pedali girano con il cappellino della nostrana e mitica Colnago, tenuto con visiera a lato. Perché il culto della bici italiana si estende a tutti i pedalatori americani, compreso Brendt: siamo tra i più motorizzati al mondo eppure l’epica del ciclismo rimane la nostra.
“La bici è un mezzo del futuro” sostiene l’inventore del festival. “La città pensata per i motori è ferma. Se ti poni il problema di una city per le auto la devi fare con tunnel, ponti, sopraelevate, posteggi, fino ad arrivare all’incubo di una città/autodromo”.
Ma non c’è astio nelle sue parole, non riconosce nel motore un nemico: a lui interessa muoversi in bici, vivere e lasciar vivere la metropoli.
E il suo festival mostra proprio la città vista dagli occhi del ciclista, fuor di metafora, perché sono moltissime le riprese effettuate in soggettiva, attraverso trabiccoli d’ogni sorta montati sui caschi o da piccole steadycam legate ai tubi del telaio.
Oltre alle pellicole, a Milano la sostanza la fanno la disponibilità del cinema Mexico, che si è offerto a percentuale, quindi a rischio, sugli incassi delle tre serate, e del Tunnel, che ospiterà la festa di venerdì 1° dicembre alla fine delle proiezioni, con musica e bombardamento di video ciclistici.
Ci sarà un Valley park, spazio di parcheggi custoditi, oltre a meccanici fuori servizio sicuramentedisponibili alle consulenze.
Su www.bicyclefilmfestival.com saprete orari, programma e code ludiche e notturne di un festival fatto per essere visitato, dove si entra e si esce, in quello che ci si aspetta diventi un raduno: “Perché il ciclista esibisce se stesso”.