Arte e Critica Anno 15 Numero 57 dicembre 2008-febbraio 2009
Intervista
Maturata una certa riflessione che ormai identifica la sua ricerca a livello internazionale, Gianni Caravaggio è stato invitato dalla collezione Maramotti di Reggio Emilia per una mostra personale all’interno dello spazio progettuale Pattern Room in cui confluisce la ricerca artistica emergente più innovativa. La mostra, dal titolo Scenario, presenta sei lavori, di cui quattro inediti, ancora sul tema dell’origine. Qualcosa tuttavia è cambiato. Subentra una diversa organizzazione del pensiero rispetto al tempo, allo spazio, all’uomo e ai suoi processi cognitivi, una riflessione sulla fluidità, la mobilità, l’indefinibilità dell’oggi, che ritroviamo anche nella pubblicazione, realizzata per l’occasione, nelle meditazioni di Federico Ferrari rispetto “all’arte in questo finale di partita della storia contemporanea”
EDP Il tuo lavoro si concentra su un’azione che lascia tracce di possibilità. In molta ricerca attuale l’attenzione è rivolta alla manifestazione dell’azione e della durata, vengono messi in vista i meccanismi, svelati i processi. Nel tuo lavoro il processo si cela e rimane l’esito, aperto, a un prima e a un dopo. Trovo personalmente molto importante questo aspetto, tu cosa ne pensi?
GC Mi intriga un certo concetto di performatività insita in una possibilità creatrice dell’opera stessa, da non confondere con la performance come la si intende comunemente. La formalizzazione di un’opera per me in realtà è la formalizzazione della possibilità viva dell’atto artistico che io intendo come atto demiurgico. Negli ultimi lavori, Principio o Lo stupore è ogni giorno nuovo, questa idea non si realizza come processo comportamentale bensì come evocazione di un’immagine, un’immaginazione cosmogonica.
EDP In questo mantenere nascosta l’azione c’è anche un tentativo di tenere nascosto il processo creativo che sta proprio all’origine del tuo lavoro?
GC Al contrario, rivelo il processo creativo! Libero l’opera d’arte nel suo atto artistico, e dall’atteggiamento dell’artista che la ostacola. L’osservatore, dal suo canto, L’osservatore, dal suo canto, più che interpretare deve intuire e forse a questo non è più tanto abituato.
EDP Ho sempre trovato intriganti e, se vuoi, anche sensuali e talvolta ironici sia i materiali che i titoli che di volta in volta adotti nei tuoi lavori. Penso alla crema di Spreco di energia assoluta o al cioccolato di La visione di una stella proiettata verso la sua origine o alla vaselina di L’ignoto. Come li scegli, che suggestioni ti condizionano?
GC Non considero i materiali in modo isolato ma parte di un’idea più completa e evocativa. Rispetto alla loro scelta mi piace l’aspetto vivo, la loro ambiguità, la capacità di evocare un’immagine naturale, viva, al di là di quello che il materiale è già di per sé. Questo genera nella mente relazioni inaspettate. Questa capacità che un materiale ha di suggerire “altro” nella mente di una persona vivente è la stessa che genera relazioni inaspettate con altre cose apparentemente estranee. Per me questo ha a che fare con il concetto di “materia” in quanto “possibilità viva” di mettersi in relazione con il nostro immaginario.
Anche il titolo, che si aggiunge alla fisicità del lavoro come un complemento di pura materia semantica, non è una semplice denominazione ma un fenomeno a sé stante che crea una coscienza più vasta in relazione all’osservazione: ognuno di noi ha un’idea di cosa possa essere uno spreco di energia, ma collegarlo alla crema cosmetica che trabocca dalle venature bianche di un marmo nero a causa del peso di un blocco di marmo bianco che sembra sciogliersi è spiazzante e costringe ad amplificare l’immaginazione di tale preconcetto. L’ironia in fondo, e in questo si distingue dallo scherzo o dal sarcasmo, sfugge proprio nel momento in cui si crede di averla potuta definire e fissare, e in questo l’ironia è il lato allegro del mistero.
EDP Cos’è lo stupore secondo te? È un aspetto importante nel lavoro, lo ricerchi o credi sia spontaneo, non ricercabile?
GC Lo stupore è quello che sta a monte dell’atto artistico ed è una capacità umana, di creare e ricrearsi: è generativo e rigenerativo. Credo che lo stupore non sia un fatto univoco, ma che sia una relazione in cui l’identità tra la persona stupita e l’oggetto di stupore non sia fissa ma oscillante. Ogni nascita comporta un atto di stupore e immagino anche la nascita dell’universo come evento di stupore. Nel mio lavoro, e in modo esemplare in Lo stupore è nuovo ogni giorno, lo stupore non è un evento preliminare ma la sua materializzazione stessa.
EDP Allievo di Fabro, sei stato invitato dalla Collezione Maramotti come uno tra i rappresentanti più interessanti dell’ultima generazione della ricerca artistica. Rispetto a quella generazione precedente trovo quella attuale, se vogliamo, più “leggera”. Cosa ne pensi?
GC Penso che a parlare di generazione tout court si rischi di generalizzare la complessità, la varietà, le diversità che regnano all’interno di una generazione stessa. Personalmente, e non sono l’unico, il mio percorso è stato segnato da anni di autogestione in piccoli gruppi di discussione e di lavoro dove ci siamo chiesti quale fosse la questione essenziale dell’arte da affrontare, che non necessariamente era quel neo-impegno sociale radical chic degli anni Novanta. Quindi attenzione a giudicare la sensazione di leggerezza. Penso che in questi ultimi quindici anni sia stato fatto un lavoro che è, a mio avviso, più complesso della generazione degli anni Sessanta e Settanta perché lì si trattava fondamentalmente di estendere la possibilità linguistica e contestuale dell’arte e dell’artista. Oggi invece è essenziale indagare le fondamenta dell’arte e del fare arte, e questo è veramente radicale. Dopo molti percorsi circostanziali di mascheramento e di adattamenti, oggi l’unica questione centrale su cui vale veramente la pena riflettere è l’essenza stessa dell’arte. Tutto il resto è esercizio di stile, intrattenimento ed esibizionismo.