Arte e Critica Anno 15 Numero 59 giugno-agosto 2009
Un importante momento di svolta nella presa di coscienza dei rischi ambientali corsi dalla Terra si ebbe con la crisi energetica dei primi anni Settanta, quando, per la prima volta in maniera diffusa, ci si accorse che le risorse del pianeta erano limitate. In quel periodo il Club di Roma produsse il Rapporto sui limiti dello sviluppo (1972) e parallelamente un vasto movimento di opinione, prodottosi inizialmente in California, denominò “ecologia” l’idea di un nuovo rapporto armonico tra uomo e natura, mettendo sostanzialmente in crisi l’idea di un progresso senza limiti. Fu in questa fase che il dibattito critico intorno agli earthworks iniziò a spostarsi progressivamente dal problema circoscritto della correlazione con il sistema delle gallerie e dei musei al tema assai più complesso del rapporto tra arte e natura. Gli interventi di modificazione del paesaggio, progettati da Michael Heizer, Robert Smithson, Richard Long, Barry Flanagan, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Alan Sonfist e altri, assunsero allora una nuova valenza, che andò identificandosi con la volontà di introdurre un cambiamento leggero, non più irreversibile, consonante con la specificità dei modi e dei tempi della natura.
Parallelamente a queste esperienze, tra la metà degli anni Sessanta e il corso dei Settanta, altri artisti manifestarono una originaria sensibilità ambientale, sia ricorrendo all’utilizzo di materiali naturali (Nils-Udo e Andy Goldsworthy, ad esempio, ammassavano foglie, fiori, ramoscelli, deponendoli entro composizioni create sul posto), sia attraverso l’impiego di forme espressive dal carattere performativo o relazionale, svincolate dunque dalla produzione di oggetti per il mercato. E mentre Beuys contribuiva alla nascita del partito tedesco dei Verdi e si muoveva in “difesa della natura”, altri artisti, tra cui Hans Haake e Newton Harrison, rivolgevano la loro attenzione ai processi biologici, trasferendoli nella pratica creativa.
Considerate in relazione alla storia del movimento ambientalista, le correlazioni tra artisti ed ecologia si presentano ricche di interazioni e rotture, di affinità e di prese di distanza. Le proposte elaborate fino ad oggi risultano per questo motivo difficilmente catalogabili. Ma ciò che quarant’anni fa poteva essere identificato come la manifestazione di una generica sensibilità ambientale, formatasi parallelamente allo sviluppo di una coscienza del ruolo determinante dell’uomo negli equilibri del pianeta, oggi viene a delinearsi, in alcuni casi, come la conseguenza di un pensiero ecologico complesso, aggiornato sull’aggravarsi delle condizioni ambientali e sociali e sull’evolversi del dibattito culturale e politico. A dispetto dello scetticismo e del negazionismo di alcuni scienziati, il cambiamento climatico è infatti ormai un’evidenza, così come la contaminazione dei suoli e dell’aria, la desertificazione, l’impoverimento della diversità animale e vegetale, la deforestazione e l’inquinamento di strati profondi di mari e oceani sono segni sempre più chiari della crisi in atto.
Anche il dibattito filosofico-culturale ha risentito fortemente di queste condizioni, orientandosi in maniera sempre più determinante verso il nodo centrale dell’ecologia. Un contributo decisivo in questa direzione è stato dato dalle teorie post-ambientaliste, che hanno rimesso in discussione alcuni dei maggiori assiomi del pensiero ambientalista concorrendo in questo modo allo sviluppo di un rinnovato dibattito sull’ecologia, a cui si sono legate, in chiave speculativa, il recupero delle teorie olistiche di Gregory Bateson, intorno all’idea di “ecologia della mente”, e la scoperta del pensiero ecosofico di Félix Guattari. In una prospettiva ecosofica, la crisi ecologica globale viene a definirsi come la manifestazione di una crisi più vasta, di natura cognitiva e sociale, prima ancora che ambientale. La questione ecologica pone dunque un problema più ampio rispetto a quello puramente scientifico: come reinventare delle pratiche cognitive e sociali che ridiano all’umanità il senso della responsabilità, non solo verso se stessa, ma anche riguardo al futuro della vita sulla Terra?
Dalla fine degli anni Ottanta, quando Guattari scrive, ad oggi, l’appello dal mondo dell’arte a orientare gli sforzi politici, le battaglie sociali e il progresso delle scienze e delle tecniche verso finalità più umane è cresciuto progressivamente. Negli ultimi cinque anni, in particolare, si sono succedute numerose iniziative ruotanti attorno al tema della sostenibilità e alla possibilità di un cambiamento nelle pratiche di vita e nei sistemi di governo e di produzione. Con il contributo di critici e curatori di vari paesi, si stanno progressivamente mettendo a fuoco i nodi fondamentali di un nuovo pensiero ecologico di matrice olistica. Dall’analisi comparata delle diverse esperienze appare evidente come numerosi artisti ricerchino un’interazione possibile tra le diverse discipline, i diversi linguaggi, le diverse pratiche. In particolare tra gli artisti più giovani si sta assistendo ad una progressiva perdita di interesse per interventi monumentali, così come per soluzioni dal carattere neoromantico, intimiste o formaliste, le quali sembrano lasciare il posto a progetti interdisciplinari orientati, nella maggior parte dei casi, a suggerire pratiche possibili di sviluppo.
Le risposte alla crisi individuano differenti percorsi. Tue Greenfort, ad esempio, si è interrogato sulle dinamiche culturali ed economiche che condizionano la relazione tra uomo e ambiente; i suoi interventi hanno delineato modelli critici antiretorici, rielaborati ogni volta in relazione alle caratteristiche del contesto in cui l’artista si è trovato a operare. Con attitudine visionaria, Tomás Saraceno si è mosso alla ricerca di materiali innovativi e sistemi autosufficienti capaci di divenire modelli per un futuro sostenibile. Amy Franceschini, con il collettivo Futurefarmers e altri progetti di collaborazione, ha posto al centro della propria riflessione gli effetti della globalizzazione sull’ambiente, mettendo in atto una forma aggiornata di attivismo culturale finalizzato alla creazione di piattaforme interdisciplinari, sia attraverso progetti di arte pubblica, sia attraverso lo sfruttamento delle possibilità interattive fornite dai nuovi media. Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla hanno attuato una vera e propria forma di resistenza culturale appoggiando, con progetti artistici di varia natura, il movimento di rivolta popolare dell’isola portoricana di Vieques, martoriata dagli esperimenti statunitensi. Minerva Cuevas ha denunciato, attraverso forme di guerriglia comunicativa, i comportamenti dannosi per l’ambiente e per la società di alcune importanti multinazionali. Nikola Uzunovski lavora da anni alla realizzazione di una struttura specchiante sospesa, capace di riflettere la luce del sole nelle aree urbane intorno al Circolo Polare Artico. Da oltre dieci anni il collettivo danese Superflex realizza progetti che incoraggiano pratiche sostenibili in zone in via di sviluppo, come il noto Supergas, presentato per la prima volta a Kassel nel 1997 e ancora oggi distribuito in diverse zone dell’Africa. Tra gli italiani, Ettore Favini si è dedicato alla raccolta di “messaggi verdi” utilizzati dalle aziende come forma di marketing. Michelangelo Consani si è adoperato per la promozione di un design “della decrescita”, attraverso progetti di valorizzazione di esperienze condivise, come i prototipi amatoriali di cucine solari.
L’elenco degli artisti attivi sul fronte della ricerca ecologica, o che stanno rivedendo alcuni assunti del proprio lavoro su rinnovate basi di sostenibilità, è in continua crescita. Una catalogazione per generi o indirizzi risulta pertanto difficile. In linea generale, la ricerca artistica contemporanea contempla una sostanziale libertà programmatica e linguistica che svincola il lavoro di ricerca dall’utilizzo di stili o forme espressive unitarie. La vocazione sperimentale, a cui le opere degli artisti impegnati sul fronte di una conoscenza ecologica cercano di tenere fede, impone una costante ricerca di nuove modalità espressive e di comunicazione. Questa ricerca del “nuovo”, propria della tradizione modernista e neoavanguardista, sta progressivamente trasformandosi in una ricerca di “nuove possibilità”. Come ha scritto recentemente Marjetica Potrc in un importante articolo sulle nuove territorialità nell’area di Acre, in Brasile: “negli anni Sessanta riflettevamo, ora siamo passati all’azione”. Il processo di cambiamento è soltanto all’inizio.