boîte Anno 2 Numero 5 primavera 2010
Particolari visibili e invisibili lungo il sentiero verso oltremare.
…In Senza titolo, 1968 una lastra di granito è tenuta sospesa, mediante un filo di rame, ad un pilastro anch’esso di granito. Fra pilastro e lastra si trova, pressata, una lattuga. Questa, dopo breve tempo, appassisce e bisogna sostituirla, altrimenti la lastra, per il diminuito volume del vegetale, cadrebbe. Questa scultura richiede di essere continuamente rinnovata; essa può funzionare solamente con il nostro contributo. Questo contributo diretto ed immediato, questa continua trasformazione della scultura, qualità inerente e naturale, derivante dall’uso di materiale organico, questa sua necessità di essere mantenuta in vita come un organismo, sottolineano un carattere sia processuale che ciclico: ripetizione, tempo, durata. L’uguale che è pur sempre diverso. L’opera d’arte che esiste come realtà solo finché agisce realmente e non virtualmente…
Jean Christophe Ammann
Cosa può essere rappresentato in un’opera d’arte? Le arti visive possono riprodurre l’invisibile?
Tra le pagine della nostra scatola di cartone abbiamo il privilegio di scrivervi di Giovanni Anselmo, uno dei maestri dell’Arte Povera, che qui ci ha raccontato della sua Scultura che mangia (1968), divenuta emblematica del movimento artistico.
Anselmo permette alla materia organica di entrare in contatto con la materia inerme, per condizionarla e modificarla. La decomposizione e il mutamento di ogni organismo sono imprevedibili varianti che danno un nuovo senso all’opera d’arte, soggetta così esplicitamente alle forze della natura e della fisica. Calce, mattoni, acqua, marmo, terra, corde, sono gli elementi impiegati nelle sue opere e in quelle di artisti che, come lui, sono stati definiti dal critico Germano Celant esponenti di un movimento che chiamò Arte Povera: Giuseppe Penone, Mario Ceroli, Mario Merz, Piero Gilardi, Giulio Paolini, Sergio Lombardo, Cesare Tacchi, Michelangelo Pistoletto, Pino Pascali, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Gino Marotta (per citare i più celebri). Elementi poveri, senza distrazioni estetiche cromatiche, che si ribellano al buon gusto delle gallerie del tempo, proponendo la sostanza organica come può essere una foglia di lattuga e arrivando ai cavalli scalpitanti e defecanti installati da Kounellis alla galleria L’Attico di Fabrio Sargentini, a Roma nel 1969.
Non è solo l’organico ma è anche l’infinito delle forze fisiche, come la torsione, che Anselmo riesce a rappresentare, bloccando un drappo di pelle in una tensione continua. Oppure la gravità che spinge verso il basso le pietre, salvate però da fili di acciaio che le bloccano per non farle cadere, Mentre il colore solleva la pietra e la pietra solleva il colore (1993).
Negli Stati Uniti qualcosa di simili accadeva con la Land Art. Solo per darvi qualche suggestione, pensate alle spirali disegnate da Robert Smithson nel terreno o nell’acqua, scavando e accumulando materiali come fango e pietre che poi la corrente corroderà (Spiral Jetty, 1970, Great Salt Lake); le gettate di piombo fuso di Richard Serra, contro le pareti della galleria Warehouse di Leo Castelli a New York (Splash pieces, 1968-70); il tornado di fumo bianco nel cielo come Dennis Oppenheim, Whirlpool (Eye of the Storm), 1973. La materia cerca da sola la sua forma, grazie a un processo innescato dall’artista, si solidifica oppure scorre via e svanisce: cenere alla cenere. Gordon Matta-Clark nel 1969 appese alla parete di una galleria l’opera Land of Milk and Honey, realizzata cuocendo latte, miele e gelatina di alghe, mentre ancora si stava trasformando chimicamente. C’era anche chi, come David Medalla, realizzava una scultura di bolle di sapone (Cluod Canyons, 1964).
Tutto ciò che di queste opere non è stato documentato nelle fotografie, è rimasto nei racconti di chi le opere le ha vista dal vivo e nelle installazioni riproposte dai musei.
L’Arte Povera ha segnato profondamente e indelebilmente la storia dell’arte contemporanea, specialmente quella italiana. Essenzialità della materia, concetto che si rivela nella processualità dell’opera, energie magnetiche, torsioni, incandescenze, linee di forza segnate da fili e corde… oggi li ritroviamo in molte gallerie, aghi magnetizzati che puntano a nord, acqua che condensa su un vetro, corde in tensione tra assi di compensato. Non è da sottovalutare il pericolo che una scarsa conoscenza dei materiali e una debolezza di significato, rendano questi lavori di oggi solo un’eco spenta di un’esperienza eccezionale, quando il concettuale non nasceva solo da un’idea, ma era un’intuizione approfondita e costruita anche attraverso la conoscenza e la capacità di lavorare la materia.
Giovanni Anselmo nel 1994 ha realizzato Particolari visibili e invisibili lungo il sentiero verso oltremare, una striscia di terra da seguire con attenzione per farvi percepire, sperimentare, forse anche “vedere”, l’invisibile. Oltremare, per l’artista, è l’aldilà, un luogo oltre l’orizzonte del mare, da dove venivano importati il minerale e il pigmento blu (chiamato appunto blu oltremare). Questa è la genialità di catturare nell’opera d’arte un’energia invisibile e concettualmente nuova, nata nella mente dell’artista.