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Arte e Critica Anno 16 Numero 64 settembre-novembre 2010



A.A.A.A.A.A.A. Cercasi Sound Art

Ilari Valbonesi



trimestrale di cultura artistica contemporanea


MARCO TIRELLI. L’illusione, unica verità
Intervista a cura di Luciano Marucci

Francesco Clemente. Portrait of the M’Other by Himself
di Mario Diacono

Pensieri in chiaroscuro XIX
L’eredità culturale: dalla re-invenzione dell’artista al confronto critico
di Alberto Boatto

Residency Unlimited. Oltre lo studio / Beyond the studio
Intervista a / Interview with Nathalie Anglès a cura di / by Chiara Sartori

Etcétera. Esempio di dis-educazione creativa / Collective Etcétera. An example of creative dis-education
di / by Lorenza Pignatti

Arte & Natura. Giardini d’Artista e Orti Urbani
Art & Nature. Artist’s Gardens and Urban Vegetable Gardens
di / by Claudia Zanfi

Ragnar Kjartansson. Il tempo della rappresentazione / The time of representation
di / by Andrea Ruggieri

This is Not a Museum of Art. A proposito della grande retrospettiva di Meschac Gaba a Kassel
Notes on Meschac Gaba’s retrospective in Kassel
di / by Marco Scotini

Hans Haacke e il contesto italiano / Hans Haacke and the Italian context
Intervista a cura di / Interview by Francesca Guerisoli

Pensieri rinnovabili: riflessioni sulla produzione recente di Nari Ward
Renewable thoughts: on the recent works of Nari Ward
Intervista a cura di / Interview by Manuela Lietti

Kjersti Andvig. Besjeling ovvero dare un’anima a qualcosa / Besjeling, or to give something a soul
Intervista a cura di / Interview by Paolo Emilio Antognoli

Peter Fend. Per un’arte ecologica, responsabile e futurista
For an ecological, responsible and futurist art
di / by Massimiliano Scuderi

A.A.A.A.A.A.A. Cercasi Sound Art
di Ilari Valbonesi

Dall’immagine all’immaginario. la cosmogonia semantica di Gianluca e Massimiliano De Serio
Intervista a cura di Marco Mazzi

Arte e sfera pubblica
di Cecilia Canziani

La linea costruttiva dell’arte negli anni Ottanta. A margine del convegno dedicato a Filiberto Menna
di Roberto Lambarelli

Segnali di fumo. L’alfabeto di James Webb / Smoke signals. The code of James Webb
di / by Elisa Del Prete

RIVISITAZIONE DELLA MITTELEUROPA
di Lóránd Hegyi

Fluxus. modi di fare
di Anna Cestelli Guidi

l’attico di Fabio sargentini. storia di un percorso individuale
a cura di Roberto Lambarelli

una nuova rivista di architettura “san rocco”
di Alberto Iacovoni e Luca Galofaro

Una sequenza di libri per leggere la dodicesima edizione della biennale di architettura di Venezia
di Luca Galofaro

Nomadi prigionieri della “Città ideale”
A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia / Nel Segno della Filosofia
di Massimo Fazzino

No money, don’t worry! Spendo poco e mangio tutto
di Michelangelo Consani

il talento e il rigore di inga Sempé
di Federica Dal Falco

Se il bello è il buono, allora la materia è forma. Divagazioni non svagate sul cuoco Marchesi
di Nicola Dal Falco

Influssi culturali tra Brasile e Italia. Il design dei Fratelli Campana
Intervista a cura di Caterina D’Alessandro


94 franz west 95 Saskia Olde Wolbers 95 Andreas Slominski 96 Ahmet Ögüt 96 Elmgreen & Dragset 97 Jeppe Hein 98 Yinka Shonibare 100 Zhang Huan 102 Tobia Zielony 104 Nikos Alexiou 105 Isa Genzken 105 Petra Lindholm 106 Tony Cragg 106 Raphael Danke 107 Brandon Ballengée 108 Luca Bertolo 109 Sam Durant 109 Rossella Biscotti 111 ettore spalletti 111 IMI knoebel 112 Thomas Ruff 113 Mario Cresci 117 Bernardì Roig 130 LUANA PERILLI 131 Loris Cecchini 132 Sergio Ragalzi 133 Pietro Fortuna 134 David Bestué-Marc Vives 136 Mel Chin
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

1985. Trent’anni fa inaugurava il Castello di Rivoli
Roberto Lamabarelli
n. 82 estate 2015

Céline Condorelli
Massimiliano Scuderi
n. 80 primavera 2015

Note su Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti

n. 79 ottobre-dicembre 2014

Ah, si va a Oriente! Cantiere n.1
Daniela Bigi
n. 78 aprile-giugno 2014

Gli anni settanta a Roma. Uno sgambetto alla storia?
Roberto Lambarelli
n. 77 gennaio-marzo 2014

1993. L’arte, la critica e la storia dell’arte.
Roberto Lambarelli
n. 76 luglio-dicembre 2013


Roberto Cuoghi
Mei Gui, 2006
2' 17",una veduta dell’ installazione
presso la Galleria Massimo De Carlo
Courtesy Galleria Massimo De Carlo

Bruce Nauman,
Days, 2009
veduta dell’installazione al
Museum of Modern Art, New York.
Purchase © 2010 Bruce Nauman / Artists Rights Society (ARS), New York
Foto Jason Mandella

Max Neuhaus nell'atto di inserire l'altoparlante per il suo lavoro sonoro a Times Square © Max Neuhaus 1975.
Times Square, 1973/1977
(installata dal 1977–1992 e dal 2002 ad oggi)
suono,  riangolo 6x12 metri situato nell'isola pedonale che interseca Broadway con la Settima Avenue, tra la Quarantaseiesima e la Quarantacinquesima Strada,New York City,
Dia Art Foundation, New York
Courtesy Estate Silvia Neuhaus

ATTRAZIONE. Il suono è attraente. Cattura l’orecchio. Incanta. Disturba. Orienta. Spaventa. Ma è anche imperativo. Il suono è al contempo mezzo e fine. Il decisivo interesse riservato alla “strana” riflessività del suono come paradossale istanza dell’arte, della musica e della filosofia del Novecento ha favorito la nascita di un vero e proprio “paradigma dell’ascolto” da cui prenderemo le mosse per rintracciare l’emergenza di una categoria concettuale dell’arte plastica denominata Sound Art: arte del suono che, riflettendo su di sé, definisce storicamente il suo stesso ambito.

ASCOLTARE. Partiamo dalle condizioni. Noi non udiamo perché abbiamo orecchi. Il suono ci colpisce laddove la nostra ricettività è già un movimento in direzione del “dato” sonoro. Questo carattere di soglia “affettiva” di ogni suono si affaccia nell’arte il 29 agosto 1952, con la prima esecuzione di 4’33” di John Cage, un “brano silenzioso” in tre movimenti (30’’, 2’23’’, 1’40’’), scanditi dalla chiusura e riapertura della tastiera del piano di David Tudor. L’evento è epocale. Prestare ascolto nel suo carattere preterintenzionale ci costringe ad assumere un carattere “eventuale” del suono, che avviene tra me e le cose, tra me e gli altri; è un suono che si origina “altrove” per quanto ve ne siamo implicati. Alla prima di 4’33’’ parteciparono il vento, la pioggia che cadeva sul tetto e le aspettative più o meno disattese delle persone presenti.

ATTENZIONE. Il fenomeno dell’attenzione, nella modalità dell’ascolto, vive di una tensione temporale che si manifesta alla percezione come “durata”. Se il minimalismo esplora la temporalità dell’opera nel suo contrarsi differenziale, al limite tautologico, la Sound Art esplode in seno all’arte visiva, a partire dal “vagito” di un’arte performativa, dove la voce, non più intesa come “espressione” bensì come “strumento di riflessione”, trasforma il corpo in un luogo “risuonatore”. L’estraneità si “fa sentire” nella nostra stessa voce: ci rimbomba nelle orecchie, si sdoppia nell’eco e si raddoppia nell’ascolto della voce estranea. Ascoltiamo il Cough Piece (1961) di Yoko Ono: nel tossire incontrollato ma ripetitivo s’intuisce questa prima incorporazione del suono come soglia che risuona tra interno ed esterno. Vito Acconci con Seedbed (1971) esplora questa etero-affezione della voce in un regime erotico di orgasmo pubblico. La “semina” si tiene alla Galleria Sonnabend di New York dal 15 al 29 gennaio, 1971, otto ore al giorno. Acconci, nascosto sotto una rampa, si masturba ascoltando il rumore dei passi dei visitatori, resi consapevoli dell’azione che eccita il processo di creazione, attraverso la vocalizzazione amplificata delle fantasie sul pubblico. Il suono della voce è orgasmatico: intercorre tra proprio ed estraneo, orienta nello spazio, definisce confini reali e immaginati, sconfina l’uno nell’altro. La voce è materia di tempo. Al di là della rappresentazione. Qualche esempio emblematico: The Idea of North (1967), il primo episodio di una “trilogia della solitudine” di Glenn Gould che isola l’identità “canadese” in una geografia mentale, ricostruita mediante il contrappunto di voci radio stratificate come un treno in corsa. Sonorizzare il luogo (Grand Tour) 1989-2001 di Luca Vitone dove il folklore musicale delle regioni italiane attiva un processo di generale spaesamento sonoro e attenzione alla specificità del luogo. Days (2009) di Bruce Nauman: sette voci, di genere differente, recitano in ordine sparso i giorni della settimana, creando un flusso continuo che evoca il trapasso banale dei giorni e contemporaneamente la profondità della commemorazione. La voce è politica in The Voice and the Fortress, (2008) di Mladen Dolar e compenetra i luoghi. E infine, la voce liturgica, quasi luttuosa in Mei Gui (2006-2009) di Roberto Cuoghi.

AMBIENTE. Il corpo è uno strumento che registra il suo ambiente. Uno storico esempio di corpo/ambiente “responsivo” è I am sitting in a Room (1969) di Alvin Lucier, opera “per voce e cassetta” che utilizza la risonanza naturale della stanza come feedback costruttivo. Il testo, registrato dall’artista su cassetta, viene riprodotto nella stessa stanza in un reiterato processo di playback-feedback-registrazione, fino a rimuovere le “irregolarità della voce” e rintracciare una frequenza di fondo. Total Eclipse (1976) è uno dei primi field recording di Bill Fontana. Documenta l’eclissi totale in una foresta tropicale. Negli istanti che precedono il black out, le differenti specie volatili iniziano a cantare all’unisono prima di eclissarsi improvvisamente in due minuti di silenzio. Emerge così un carattere interspecifico della dimensione dell’ascolto, e un’identità sonora del contesto vivente che può essere ridefinito e “scolpito” in un nuovo ambiente di senso. La vivace plasticità dei suoni ambientali si ritrova anche nei territori magnetici di Christina Kubisch, nelle risonanze di Terry Fox, che lavora con l’eco naturale di fili elettrici, scatolette metalliche, bacchette di legno. Mentre il lavoro di Stephen Vitiello si concentra sulle qualità più atmosferiche del suono per una riconfigurazione polimorfica degli ambienti esistenti, a partire dal suo progetto World Views (1999) basato sui suoni emessi dalla struttura dell’edificio, registrati al 91° piano del World Trade Center, fino al recente A Bell For Every Minute (2010) in cui campani e campanelli scandiscono il tempo di apparizione, facendo risuonare l’intermittente a fondo della trasmissione della memoria, non solo di New York.

AUDIENCE. Il carattere pubblico dell’ascolto, la spazialità del suono nella sua portata simbolica si manifestano nelle costruzioni che accolgono l’esperienza estetica del suono: dal teatro, alla sala da concerto, dalla galleria alla piazza, dal bosco all’auditorium. Ma in questione non è il suono nello spazio, né il suo accesso ad uno spazio più o meno codificato culturalmente, ma il suono di uno spazio senza tempo. In questo senso, i “sound works” di Max Neuhaus sono importanti per riflettere su questa co-appartenenza di spazio e di suono, che prescinde dal tempo, a partire dal luogo. Emblematico il lavoro del 1977 installato in modo permanente nell’isola pedonale di Times Square, a N.Y., già luogo simbolico della “polis”, nel transito vorticoso dei suoni. L’artista si mette in ascolto della piazza e interviene con un blocco sonoro armonico. Il complesso posizionamento del primo suono inizia un secondo processo di interferenza cinestetica, “tempo quadrato” in una nuova appercezione dello spazio, ricontestualizzato nell’ascolto localizzato dei passanti che transitano nel luogo. Il suono è anche un tappeto magico della fantasia come quello di Magic Carpet (1970) di Paul Klerr e Alvin Curran. Suoni site specific sono incorporati in Room Pieces (1991) di Michael J. Schumacher, fondatore della Galleria Diapason di New York “devoted to sounds”, e nelle “passeggiate sonore” di Janet Cardiff che riflettono sulle dinamiche contemplative dell’ascolto imbrigliato nella griglia spazio-temporale dell’immaginazione.

ACUSMATICA. Il suono è un corpo che ha carattere di evento diastatico, ossia ha una temporalità sintetica. Ascoltare qualcosa di determinato è già registrare qualcosa, selezione che contrassegna il suono in quanto tale e lo consegna alla possibilità del riconoscimento e della ripetizione, ben prima della teoria della Musique Concrete di Pierre Schaeffer. Ovviamente la radio, il nastro magnetico, il campionatore ecc. sono in grado di isolare, alterare e concentrare i processi di fruizione e distribuzione del suono. Ma in questa direzione “sintetica” si fa valere più una sorta di “critica” degli strumenti tradizionali e di ricerca percussiva, anche elettronica, che appartiene all’arte plastica, alla musica “colta” e a quella “popolare” e non ci sembra caratterizzare un ambito specifico di sperimentazione della materia sonora. Anzi. Dal Poème Électronique di Edgard Varèse (1957) al Kontakte (1960) per nastro a quattro piste, pianoforte e percussione di Stockhausen, al “phase-shifting” di Steve Reich di Come Out (1966), all’ipnotico Mescalin Mix (1961) di Terry Riley al Metal Machine Music (1975) di Lou Reed fino alle manipolazioni di Scanner, si assiste ad un tessuto intrecciato di suoni che rinnova la questione di un “senso comune” nell’ottica di un’etica “acusmatica”.

ACUSTICA. Orecchie occhi narici aperti! attenti! forza! Con l’invenzione delle macchine nacque il rumore, proclamarono i futuristi. Ma anche il desiderio di combinare lo scoppio di motori, ronzii, stropiccii, gorgoglii. La linea di demarcazione che intercorre tra suono e rumore, fino ad una estetica del noise, riposa anche nelle nostre attese. Rumori tecnologici/suoni della natura costituiscono le due facce della stessa medaglia più o meno armonica, mentre svelano nello spazio la loro matrice simbolica e il carattere di estraneità del suono che li accomuna. Di nuovo, in questo mondo/impero dei suoni, il vero discrimine di un’arte del suono è nella capacità d’indugio dell’opera, messa a distanza (reale o immaginata), estasi piegata nella dimensione dell’ascolto, in un’esperienza di slittamento tra spazio e tempo, attesa e sorpresa, che non sia il prodotto di un feticismo ambientale e di una nostalgia, alienata in “giardini pieni di suoni” e rumori.