L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Urban Anno 12 Numero 104 marzo 2012



La mente, il corpo, il pubblico

Francesca Bonazzoli

The Abramovic method





SOMMARIO N.104


11 | editoriale

13 | icon

15 | interurbana
al telefono con Stefania Medetti

17 | portfolio
Omaggio a Tokyo
a cura di Floriana Cavallo
illustrazioni e testi Ko. Machiyama

22 | Cult
di Michele Milton e Federico Poletti

24 | ezra miller
di Floriana Cavallo

28 | cina su pellicola
di Lapo Cantucci

32 | musica
di Paolo Madeddu

35 | body
di Ivan Bontchev e Tatiana Uzlova

37 | the abramovic method

50 | the man the myth
the lucky bastard
di Roberto Croci

54 | chioschi volanti
di Ciro Cacciola
foto Stefan Fürtbauer

58 | guitar lifestyle
foto Giorgio Codazzi
styling Ivan Bontchev

62 | libri
di Marta Topis

63 | design
di Olivia Porta

64 | chill out
foto Luca Campri
styling Ivan Bontchev

74 | nightlife
di Lorenzo Tiezzi

76 | Fuori

82 | ultima fermata
di Franco Bolelli
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Coast to coast
Francesca Bonazzoli
n. 117 ottobre 2013

Branding Terror
Francesca Bonazzoli
n. 116 settembre 2013

Future City
Susanna Legrenzi
n. 115 giugno 2013

Utopia Biennale
Francesca Bonazzoli
n. 114 maggio 2013

Middle East Now
Francesca Bonazzoli
n. 112 marzo 2013

Wall Ballet
Francesca Bonazzoli
n. 111 febbraio 2013


Quarant’anni di attività e ancora un’energia, del corpo e delle idee, che pochi artisti, anzi pochissimi, possono vantare.
Una capacità creativa che brucia ancora come un fuoco e una necessità di continuare a superare limiti e confini, a differenza della maggior parte degli artisti che, arrivati al successo, ripetono stancamente una formula che è stata più o meno vincente: gente stanca, che lavora per il mercato e non più per se stessa. Marina Abramovic, invece, continua a sperimentare, a cambiare, a scavare dentro le possibilità psichiche e fisiche del corpo umano come un filosofo che non può impedirsi di esercitare il pensiero sulle domande ultime; come un alchimista che non si arrende nella ricerca della Grande Opera; o come un asceta che non perde mai di vista il percorso mistico verso l’Assoluto.
Pioniera e icona della performance art dagli anni Settanta, leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997, la regina torna in Italia, paese dove nel passato ha realizzato alcuni dei suoi lavori più radicali. Da New York a Milano, dopo l’enorme successo ottenuto due anni fa al Moma con la retrospettiva delle sue opere e la performance più lunga della sua vita: tre mesi in cui ogni mattina, durante l’intero orario di apertura del museo, si è seduta davanti a un tavolo restando in silenzio mentre i visitatori prendevano posto davanti a lei, scoppiando a ridere, a piangere, provocandola, sentendosi imbarazzati, per tutto il tempo che riuscivano a resistere e lottare con le loro stesse reazioni davanti alla sua presenza muta.

Anche al Padiglione di arte contemporanea, dal 21 marzo al 10 giugno, proporrà un nuovo lavoro, il primo dopo la retrospettiva di New York. Anche questo coinvolgerà il pubblico in una serie di performance perché, secondo l’Abramovic, l’opera si compie solo nella relazione fra pubblico e artista generando un’espansione energetica che trasforma entrambi in profondità. Chi ha già assistito a una performance dell’Abramovic sa quanto questa donna, nata in Serbia nel 1946, sia l’artista più affascinante e magnetica dell’arte contemporanea: solo lei riesce a scatenare correnti di energia come certi santi asceti. Non a caso Marina si prepara attraverso lunghi ritiri, anche in India, senza mangiare e senza parlare per pulire il corpo e renderlo capace di affrontare le avversità attraverso un ferreo autocontrollo.

Nei suoi primi lavori degli anni Settanta, quando si sottoponeva a prove fisiche e psichiche di inaudita crudeltà, così estreme da aver sfidato più volte la morte, le sue indagini sui limiti della resistenza umana sono state spesso intollerabili anche per il pubblico che è svenuto, ha reagito gridando, piangendo o sfogando la propria violenza repressa su di lei come quando a Napoli, nel 1974, uno spettatore le puntò una pistola in viso. Via via la sua radicalità autolesionista si è trasformata in spiritualità sempre più magnetica, vibrante. Si è concentrata su un lavoro che ha per oggetto il tempo e il silenzio, la durata dello spazio vuoto diventato per noi occidentali sempre più intollerabile. E, anno dopo anno, si è trasformata in un sacerdote che guida il pubblico a condividere le sue esperienze fisiche e spirituali. Non si lascia più solamente guardare, ma le sue performance si sono trasformate in un abbraccio circolare, in un passaggio del flusso di energia fra lei e gli altri.

Marina è una delle pochissime super star dell’arte contemporanea che non ha paura della gente, del contatto, della parola, dello scambio degli sguardi. Non fugge a distanza come le altre celebrities, ma si mescola senza paura, ascolta, tocca e si fa toccare perché il suo corpo e la sua psiche sono forti come torri inattaccabili. Non traballano nell’ansia e nelle fragilità che minano i vip perché lei ha attraversato il fuoco e ne è stata forgiata.
“La performance mi permette di esplorare ciò che fa paura, ovvero il dolore e la morte, e di mettere in scena queste emozioni davanti a un pubblico ricevendone il riflesso come in uno specchio: in questo modo ho imparato più dal mio lavoro che dalla vita. Intorno a noi abbiamo costruito così tanti muri che tutti dovremmo essere più aperti e vulnerabili”, ha detto in un’intervista rilasciata a Urban alla vigilia della mostra al Moma. In quell’occasione raccontava la sua giornata tipo a New York fra interviste, set fotografici, incontri con star della musica, del cinema, del teatro: una vita all’apparenza glamour, brillante. Poi però, alla domanda su come facesse, a sessantacinque anni, a continuare a mettersi così duramente alla prova, rispondeva: “Posso farlo perché curo molto il mio corpo. Mangio solo cibo ayurvedico, non bevo alcol, non fumo, non bevo nemmeno il caffè, faccio esercizio fisico, insomma faccio quasi una vita di rigore militare e quando sono stanca vado a letto alle dieci e mi alzo molto presto al mattino”.

Marina la star di casa. Marina a casa fra le star. Così è la sua personalità appassionata e calma insieme, sempre concentratissima su qualsiasi cosa faccia. Un portento della natura, una donna bionica. A Milano per la sera dell’inaugurazione della mostra al Pac, lunedì 19, e nei giorni successivi, guiderà una serie di performance della durata di due ore ciascuna in cui il pubblico, vestito con camici bianchi, ritroverà i propri spazi mentali abbandonati e le proprie energie spirituali attraverso il contatto con i minerali di quarzo, ametista, tormalina e attraverso esperienze di buio/luce, assenza/presenza, percezioni alterate. Il tutto mentre un’altra parte del pubblico potrà guardare la performance dalla balconata del Pac attraverso cannocchiali in uno scambio di consapevolezza fra guardati e guardanti. Martedì 20, presso la galleria Lia Rumma di via Stilicone, inaugurerà una seconda mostra, su tre piani, dal titolo With Eyes Closed I See Happiness, i cui lavori offrono una chiave di lettura del suo “Metodo”. Mercoledì 21 terrà una lecture e giovedì 22 al cinema Apollo, altro appuntamento imperdibile perché verrà presentato in anteprima nazionale il film Marina Abramovic. The Artist is Present, diretto da Matthew Akers, fresco di un immenso entusiasmo al Sundance Film Festival. Infine, un’altra straordinaria tappa di questa discesa di Marina in Italia sono la copertina e le dieci pagine speciali realizzate appositamente da lei per Urban. Perché Marina è instancabile, forte, magnetica, di una bellezza superba, altezzosa come un’aquila imperiale e insieme dolcissima.