L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Arte e Critica Anno 18 Numero 71 giugno-agosto 2012



Le estensioni di Nikhil Chopra

Daniela Bigi



trimestrale di cultura artistica contemporanea


SOMMARIO N. 71

040 Piero Gilardi, dall’arte-vita all’arte DEL vivente
Intervista a cura di Roberto Lambarelli
044 LE ESTENSIONI DI NIKHIL CHOPRA / NIKHIL CHOPRA’S EXTENSIONS
Intervista a cura di / Interview by Daniela Bigi
048 Oscar Tuazon. Architetture alternative in costante rielaborazione /
Alternative architectures in continuous re-elaboration
di / by Alberto Fiore
051 Dominik Lang. Opera come stratificazione / Artwork as stratification
Intervista a cura di / Interview by Massimiliano Scuderi
054 L’opera performativa: Jacopo Miliani / The performative artwork: Jacopo Miliani
di / by Ilaria Mariotti
056 Olivier Mosset. Sistema pittura / System Painting
Intervista a cura di / Interview by Caterina D’Alessandro
059 Coordinate mobili: Sud-Est, Londra / Mobile coordinates: South East, London
di / by Guido Santandrea
062 Alessandro Sarra. Pittura come frontiera esperienziale
Intervista a cura di Daniela Bigi
065 CARLA LONZI e l’AUTOCOSCIENZA DELLA CRITICA D’ARTE
di Roberto Lambarelli
066 Jorinde Voigt. La mappatura del mondo sconosciuto / The mapping of the unknown world
di / by Claudia Löffelholz
068 Rimodulazioni identitarie: analisi e funzioni dell’arte contemporanea
Identity reformulations: analyses and functions of contemporary art
di / by Anna Santomauro e / and Vincenzo Estremo
070 Georges Didi-Huberman: la ricerca senza fine / the endless research
di / by Paolo Aita
071 Aldo Tambellini. Postmedia Pioneer
di Paolo Emilio Antognoli Viti
072 IL PLAGIO DI VETTOR PISANI E MICHELANGELO PISTOLETTO INTERPRETATO.
Il passaggio da Venere a Meret, da Meret a Maria
di Giovanna dalla Chiesa
075 S.M.A.R.T. STORIA, MISURA, ARTE, RICERCA, TECNICA.
24 ORE DI ARCHITETTURA ITALIANA DAL VIVO PER NUOVI MODELLI URBANI
di Francesco Moschini
076 Architettura norvegese: l’intervento nel paesaggio naturale
Norwegian architecture: intervention in the natural landscape
di / by Antonio David Fiore
078 Superstudio. Un pensiero senza tempo
di Luca Galofaro
080 ofl architecture. visioni di città possibili
Intervista a Francesco Lipari a cura di Lisa Pedicino
082 Identità dell’architettura?
di Gianfranco Toso e Fabrizio Ronconi
084 Sostenibilità, “imperativo” etico per il design
di Luca Bradini
086 il colore esibisce il design
di Vincenzo Cristallo
087 PROGETTARE PER L’AUTISMO
di Sara De Franceschi
110 Paladino. Anelito della nostra storia
di Vito Calabretta
111 Antony Gormley. Un uomo, ecco un mistero
di Francesca Alix Nicoli
112 Teatro Studio Krypton. E l’opera va in scena
di Paola Bortolotti
113 Politiche della Memoria. Interrogando l’immagine/documento
Intervista a Marco Scotini a cura di Rossella Moratto
115 Esercizi di ecosofia. Per rovesciare le gerarchie
Intervista a Emanuela Ascari e Enzo Calibè a cura di Serena De Dominicis
116 macro. OPEN MUSEUM
Conversazione tra Bartolomeo Pietromarchi, Daniela Bigi e Roberto Lambarelli

88 Doris Salcedo 88 Hans-Peter Feldmann 88 Roman Signer 89 Lily van der Stokker 89 Yuri Ancarani
90 Peter Linde Busk / Tomaso DE Luca 90 Letizia Cariello 91 Ryan Gander 91 Luca Bertolo 92 Marianna
Christofides 92 Koo Jeong-A 93 Gian Maria Tosatti 94 Arthur Duff 94 Andrew Mania 94 anna franceschini
96 Mariagrazia Pontorno 96 Etienne de France 96 Filippo Leonardi 97 Aníbal López 97 Oliver Ressler
98 Giovanni Ozzola 98 Brunella Longo 99 Loris Cecchini 99 Judith Raum 99 marco FEDELE DI CATRANO 100
Alessandro Bazan 103 Massimo Antonaci 104 MARISA MERZ 104 WALTER DE MARIA 104 Jimmie Durham 105
GINA PANE 106 GIANNI DESSì 107 VITTORIO CORSINI 107 ALFREDO PIRRI 117 Jeff Wall 120 Koki Tanaka 123 Kate-
rina Sedá 125 Jan Fabre 126 Sui Jianguo, Gu Dexin, Moataz Nasr
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

1985. Trent’anni fa inaugurava il Castello di Rivoli
Roberto Lamabarelli
n. 82 estate 2015

Céline Condorelli
Massimiliano Scuderi
n. 80 primavera 2015

Note su Benoît Maire, Renato Leotta, Rossella Biscotti

n. 79 ottobre-dicembre 2014

Ah, si va a Oriente! Cantiere n.1
Daniela Bigi
n. 78 aprile-giugno 2014

Gli anni settanta a Roma. Uno sgambetto alla storia?
Roberto Lambarelli
n. 77 gennaio-marzo 2014

1993. L’arte, la critica e la storia dell’arte.
Roberto Lambarelli
n. 76 luglio-dicembre 2013


Yog Raj Chitrakar: Memory Drawing V Part 3, 2011
Musée d’Art Contemporain de Lyon
Costumi di Tabasheer Zutshi
Foto Blaise Adilon

Broken White II, 2011
Paris-Delhi-Bombay Exhibition, Centre Pompidou, Parigi
Costumi di Sabine Pfisterer
Foto Ali Dolanbay

Inside out, 2012. site specific performance di 99 ore (San Gimignano, 25-29 aprile)
Costumi di Sabine Pfisterer
Courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin
Foto Shivani Gupta

Nikhil Chopra è uno degli artisti indiani più interessanti tra quanti emersi negli ultimi anni e probabilmente uno dei più promettenti a livello internazionale. Ha partecipato alle grandi rassegne che nelle ultime stagioni hanno focalizzato l’attenzione su tematiche e modalità del fare arte nel subcontinente indiano e, come molti artisti della sua generazione – e non solo indiani –, si è voluto e dovuto confrontare con i grandi temi che i riassetti geopolitici e gli sviluppi dell’economia globale hanno reso sempre più urgenti. Con una solida educazione artistica maturata sia in India sia in America, Chopra ha lavorato attraverso performance molto complesse, ove attraverso il disegno, il travestimento, l’installazione, l’azione ha indagato la sua memoria e quella di un paese attraversato da enormi cambiamenti, costruendo e interpretando dei personaggi (Sir Raja, ovvero un maharaja, Yog Raj Chopra, ovvero suo nonno artista formatosi nell’Inghilterra degli anni trenta, pittore di paesaggi del Kashmir) che gli permettessero di scavare nel passato, di guardare dall’esterno la propria generazione, di rileggere alcune pagine di storia attraverso l’immedesimazione in figure che rappresentavano proprio ciò che era stato superato, di guardare alla fase post-coloniale con occhi più liberi rispetto ai cliché che quella stessa fase ha prodotto. La performance realizzata di recente a San Gimignano su invito della Galleria Continua, e prima ancora alcuni lavori realizzati a Berlino, sembrano concentrare l’attenzione dell’artista su questioni sempre più intimamente legate al rapporto di un corpo, il proprio, con uno spazio che, cambiando di volta in volta, modifica il corpo stesso nella sua più ordinaria e al contempo profonda condizione esistenziale. La storia continua ad essere non solo uno scenario proiettivo ma una sorgente di condizioni possibili entro le quali esperire se stesso, una fonte continua di appigli per la costruzione di una autobiografia che si possa definire tale nel senso più impegnativo del termine, fuori dal copione attraverso tanti copioni.

DB: Partiamo dalla performance che hai appena realizzato a San Gimignano, inside out: 99 ore trascorse nello spazio dell’Arco dei Becci nei panni e nello studio di un pittore rinascimentale (Benozzo Gozzoli?). Qual era il tuo progetto iniziale? Quali sono stati gli step principali intorno ai quali si è snodata la performance?
NC: Affronto gran parte delle mie performance dall’ottica del pittore. Ciò è principalmente dovuto al fatto che ho studiato pittura alla scuola d’arte. E quando ripenso alla mia formazione artistica mi rendo conto di quanto il Rinascimento italiano sia radicato nella nostra mente. L’apprendimento della prospettiva, la figura umana, la natura morta erano parte integrante dei miei studi.
In occasione delle numerose visite a San Gimignano e in Toscana ho capito davvero da dove veniva il Rinascimento, e conversando con la gente nella piazza principale non ho potuto fare a meno di inquadrarla nella propria architettura e nel proprio paesaggio lirico; ciò ha costituito una prima sollecitazione alla performance. Gran parte delle mie performance sono un tentativo di collocare il corpo in un luogo e in un tempo. Realizzare disegni di ciò che vedo diventa uno strumento per farlo. Quando ho visitato la Chiesa di Sant’Agostino e ho visto gli affreschi di Benozzo Gozzoli sono rimasto fortemente impressionato e subito ho capito che sarebbero diventati una preziosa fonte di ispirazione.

DB: Quanti ruoli hai incarnato, in realtà, durante inside out? Come si relaziona questo tuo nuovo personaggio con quelli che hai interpretato in circa dieci anni di attività performativa (penso al primo carattere intorno al quale hai lavorato, Sir Raja, ideato nel 2002, e poi a Yog Raj Chitrakar, a Drum Soloist)?
NC: È difficile dirlo poiché non credo più di interpretare dei personaggi. Li vedo piuttosto come individui o come estensioni di me stesso. Sono le situazioni e le circostanze a trasformarmi in monaco, pellegrino, guerriero, pittore, avventuriero, dandy o clown. Ad esempio, camminare per la strade di San Gimignano alla fine della performance, con il volto dipinto di bianco, vestito e inzuppato di pioggia, ha dato vita a una sorta di clown che appariva triste, indifeso, amareggiato; tutto l’opposto del turista spensierato in vacanza, di passaggio a San Gimignano.

DB: Che tipo di quotidiano hai vissuto in quelle ore? Cosa è accaduto secondo te in quel lungo lasso di tempo trascorso in un luogo, San Gimignano, così distante dalla tua esperienza, e quindi dalla tua memoria?
NC: Mi sono dato un compito, quello di realizzare dei disegni di San Gimignano. Ogni mia azione ruotava attorno a tale obiettivo; mangiare, dormire, indossare ed esibire i disegni per le strade e i paesaggi. La lunga durata mi consente di abitare un luogo, lasciare che penetri in me e quindi trasformarmi. Il mutamento avviene a livello fisico ma anche psicologico.
DB: Come intendi dunque il luogo all’interno del tuo lavoro? E lo spazio operativo all’interno del quale costruisci le tue opere?
NC: Spesso ho la sensazione che un luogo scelga me tanto quanto lo scelgo io. L’invito a venire a San Gimignano è arrivato dalla Galleria Continua e tutto è iniziato da qui.

DB: Gli abiti dipinti che hai indossato a San Gimignano durante la performance e i paesaggi a carboncino realizzati sulle pareti dello studio fanno parte del ricco processo che sostanzia abitualmente il tuo lavoro. Mi viene da pensare che siano parti integranti di un intendere la performance sia come atto esplorativo e conoscitivo sia come momento costruttivo, pratica artigianale, nel senso più ampio del termine. Quale significato attribuisci all’uso dei diversi mezzi espressivi che compongono i tuoi lavori?
NC: Il disegno è come il proverbiale pozzo senza fondo. Più ne faccio, più imparo. Il suo potenziale è illimitato. Esiste da quando noi esistiamo, dalle grotte di Altamira e Lascaux, ed esisterà fino a quando non ci estingueremo. Tracciare segni è una delle forme di espressione più primitive, spesso è un modo per dire “io c’ero”. Può anche diventare un modo per misurare il tempo. Ad esempio, un prigioniero conta i suoi giorni in prigione facendo dei segni sui muri.

DB: Hai lavorato a lungo utilizzando travestimenti che, proiettandoti in una condizione temporale lontana – quella di un’India amministrata ancora dagli inglesi –, ti hanno permesso di indagare in modo autentico, e da prospettive multiple, il cambiamento epocale che ha interessato il tuo paese. Cosa ti è stato possibile mettere a fuoco, in questi anni, avendo lavorato su una forte istanza d’attualità attraverso il filtro della storia?
NC: Più realizzo performance più nel mio lavoro mi rendo conto del ruolo della memoria contrapposta alla storia. Quest’ultima sembra rigida e lineare, mentre l’altra appare fluida e malleabile. Sì, sono un prodotto del passato coloniale dell’India. Ma questo aspetto è raccontato più nelle esperienze di vita, possibilmente in conversazioni fatte a tavola, o nelle fotografie.