Inside Art Anno 4 Numero 32 aprile 2007
Incontro con Grazia Toderi
Stadi come astronavi, teatri come cosmogonie di emozioni e visioni. Se pensate che il linguaggio della videoarte – ma guai a usare questa definizione con lei – sia freddo, fate clic su Grazia Toderi. Le sue immagini di luce evocano mondi altri, Spazi dove l’infinito e la lontananza ricordano quanto piccoli, quanto bisognosi di lasciarsi alle spalle realtà deformate dagli spot siano gli umani. Dalla ribalta alla Biennale di Venezia del ‘93 ad oggi: ci parli del suo percorso artistico: partenza, tappe, cadute, punti d’arrivo e da raggiungere. «Tutto mi sembra una conseguenza fluida di avvenimenti, difficile stabilire una partenza, l’unica cosa certa è che ho frequentato il liceo artistico e poi l’accademia di Belle arti. Oggi ogni nuova mostra è una tappa da superare con la stessa intensità e concentrazione, innanzitutto di fronte a sé stessi e al resto del proprio lavoro; ogni nuova opera deve tentare di superare quella precedente.
Per questo spesso rinuncio a partecipare anche a mostre o progetti interessanti, dove però non riuscirei ad avere un totale controllo della qualità del lavoro. Detesto la fretta e l’approssimazione. Cerco di essere severa e di staccarmi dal mio lavoro guardandolo come fosse una nuova presenza estranea. Punti d’arrivo e da raggiungere: riuscire a mantenere sempre la felicità e l’indipendenza nel mio lavoro. Ho sempre presenti gli artisti che stimo, gli esponenti dell’arte italiana, e penso a loro come predecessori di cui devo essere degna. Fortunatamente non mi sono mai accorta di cadere, sicuramente lo avrò fatto chissà quante volte! Evidentemente non mi sono fatta molto male».
Vive a Torino da circa due anni. Che rapporto c’è, se c’è, tra l’artista e lo spazio fisico in cui vive o è nato?
«Dalle vetrate del mio studio vedo la basilica di Superga che di giorno, sulla cima della sua collina, si trasforma continuamente, a volte appare e scompare lentamente nell’umidità, a volte appaiono per pochi minuti tre forti luci in verticale, irreali, incredibilmente calde: il sole che tramonta dalla parte opposta e si riflette sulle finestre della basilica. Di notte rimane sospesa nel buio, tra le geometrie di luci scintillanti della sua collina, a volte ancora svanisce. Nel 1998 vivevo a Milano e stavo lavorando al Castello di Rivoli per la mia mostra personale. Lì ho trovato un’attenzione, un rispetto e un clima culturale veramente speciale. L’arte per Torino è una questione profondamente importante e credo che la città, grazie ai suoi artisti e ai suoi musei, sia stata un grande esempio per tutte le altre città italiane. Ho fatto una ricerca sulle residenze sabaude e ho conosciuto l’opera di Francesco Juvarra. Adesso vivo a Torino, esco sulla terrazza del mio studio e mi trovo esattamente su una traiettoria visiva che va dalla basilica di Superga alla Mole Antonelliana, vedo un dialogo diretto tra due architetti che amo moltissimo, Juvarra e Antonelli, i sogni di entrambi protesi verso l’alto. Superga fa sorvolare lo sguardo su Torino dall’alto e si ricongiunge con il Castello di Rivoli a occidente, verso la Francia; al centro di questo viaggio lo sguardo incontra la Mole Antonelliana, quello che doveva essere ai suoi tempi il più alto edificio in muratura d’Europa, ancora un sogno proteso verso il cielo. Partendo da decine di disegni preparatori ho realizzato “Rosso Babele”, una doppia proiezione video in cui una città fatta di luci si innalza verso l’alto da una parte e sprofonda dall’altra in un gioco di traiettorie e tracciati luminosi, lampi, bagliori. Ho pensato a quel rosso innaturale dato dalla luce delle lampade ai vapori di sodio che illuminano di notte le nostre città e alle cupole, alle torri, a tutti quegli edifici che hanno da sempre avvicinato l’uomo al cielo. Non volevo identificare nessun luogo in particolare, “Rosso Babele” è fatto dalla stratificazione di immagini di paesaggi notturni di tante città e paesi che avevo ripreso nel tempo e ho montato in video stratificandole».
La videoarte non esiste, esiste un lavoro che è arte oppure no, ha detto. Dunque, cos'è l'arte? E qual è l’elemento centrale della sua poetica?
«Il “video” è un mezzo, l’“arte” è proprio ciò che trascende fino ad annullare il mezzo. Quindi l’associazione di questi due termini è già per me una forte contraddizione. Credo che un’opera non possa definirsi attraverso una tecnica ma attraverso la relazione con tutte le altre opere. Rimango sorpresa che ancora oggi ci siano critici che hanno bisogno, attraverso un troppo facile neologismo, di affermare la possibilità di una tecnica di essere arte, quando vediamo opere fatte con ogni mezzo. L’arte è ciò che riesce ad attraversare il tempo, lo sguardo degli esseri umani di generazione in generazione, fino ad attraversare i millenni. Il suo valore prezioso viene tramandato e preservato di mano in mano attraverso il tempo. Tentare di oltrepassare il tempo, comunicare con il presente e con il futuro, prendere una posizione rispetto alle altre immagini, all’arte e alla realtà (ma cosa è la realtà mi chiedo sempre?), cosa lasciare al mondo è un pensiero costante del mio lavoro».
Il monitor è una scatola, l'immagine dev'essere di luce, ha detto ancora...
«Questa è una delle scelte fondamentali del mio lavoro. Il video è fatto di luce e nel mio lavoro desidero che il fascio di energia corra fino ad evidenziarsi quando incontra la superficie della parete, che diventi come un affresco luminoso e che l’osservatore si trovi nello stesso timbro di luce del video. Dal ’93 ho scelto di lavorare con il video perché era un mezzo leggero, che poteva essere trasmesso simultaneamente in tutte le case del mondo. Ho amato molto la televisione, dichiarando con “Nata nel ’63” (del ‘96), il mio video dedicato allo sbarco dell’uomo sulla Luna, che appartengo alla prima generazione italiana cresciuta con la televisione, in quegli anni scatola delle meraviglie luminosa, che ha unito attraverso le sue immagini la memoria di milioni di persone ovunque. Lo sbarco dell’uomo sulla Luna è stato il primo evento mondiale seguito simultaneamente e globalmente, era uno dei sogni dell’uomo che si realizzava. Oggi con l’ultimo grande evento televisivo, quello del crollo delle Twin towers, quel sogno di alzarsi verso il cielo si è trasformato nel suo opposto, l’incubo e il terrore. Un elevarsi verso il cielo, una caduta verso la terra».
Con la luce, lo sguardo dall'alto è centrale nella sua arte. Perché?
«Perché da lontano tutto si trasforma totalmente e si relativizza, la catastrofica energia di una stella diventa un punto di luce fredda in un’immensità di nero. Agli inizi degli anni Novanta ero rimasta molto colpita dalla storia dell’astronauta sovietico abbandonato per mesi in orbita intorno alla Terra durante il crollo dell’Unione Sovietica. Ero colpita dalla solitudine del suo sguardo da lassù che, pur potendo contemplare la Terra e tutta l’umanità sulla sua superficie, non poteva vedere nessuno. Strana ambiguità della visione, vedi tutto eppure non vedi nulla. Allora che cosa è la realtà, che cosa è la visione? Eppure tanti quando guardano i miei video chiedono: ma è vero? E io rispondo chiedendo a mia volta sorpresa: cosa è vero?».
L'importanza del titolo nelle sue opere.
«È solo l’indicazione dell’inizio di un percorso».
Su cosa sta lavorando per il futuro?
«Non posso dirglielo perché voglio garantirmi sempre la libertà di cambiare progetti e impegni anche all’ultimo minuto. Inoltre il futuro è oramai troppo sfruttato per creare anticipazioni, annunci, aspettative, lo si annuncia continuamente come uno spot pubblicitario. Forse sarebbe meglio fermarsi ad analizzare di più il presente, anche per non dimenticare troppo facilmente il passato».
Maurizio Zuccari
L’ARTISTA DEL MESE
Nata a Padova l’11 marzo 1963, Grazia Toderi frequenta l’accademia di Belle arti a Bologna. Nel ‘92 si trasferisce a Milano; emerge all’attenzione della critica grazie al video presentato alla Biennale di Venezia dell’anno successivo: “Nontiscordardime”, dove una piantina resiste sotto al getto della doccia. Dopo l’esordio nel minimalismo domestico segue “Nata nel ‘63”: una bambolina con una palla rossa che ruota con le immagini dell’allunaggio sullo sfondo.
La consacrazione tra le artiste di punta del paese arriva con il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del ‘99 e la personale al Castello di Rivoli di quell’anno. Da allora stadi, arene e teatri si sublimano in sculture di luce (da “Semper eadem”), come le vedute aeree delle grandi città (Londra, Milano, Roma), sulle quali il suo sguardo si allarga a partire dalle opere del nuovo millennio. “Rosso Babele” e “Scala nera”, gli ultimi lavori esposti al Pac di Milano, evocano ancora le lontananze dello spazio cosmico e terrestre, nel virare dei colori dalla prima alla seconda opera. Vive a Torino, le sue quotazioni spaziano da 7.000 a 60mila euro.
LE ESPOSIZIONI
Dal 17 aprile al 24 maggio Grazia Toderi è protagonista di una personale da Fa Project a Londra, una delle sue gallerie di riferimento (www.faprojects.com). Sempre a maggio l’artista sarà presente nella collettiva “Vertigo. Il secolo di arte off media dal futurismo al web”, a cura di Germano Celant, con cui il Mambo di Bologna inaugura la sua attività. Fino al 5 novembre, Museo d’arte moderna di Bologna, via don Minzoni 14. Info: 051502859; www.mambo-bologna.org.