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Inside Art Anno 4 Numero 33 maggio 2007



Il buio oltre l'immagine

Maurizio Zuccari

Incontro con Davide Coltro



The Living Art Magazine


PIANO Il buio oltre l’immagine
incontro con Davide Coltro
di Maurizio Zuccari
COPERTINA Sadomaso d’autore di Alessandra Vitale
EVENTI Nel segno di Zorio
intervista con Gilberto Zorio di Maria Luisa Prete
Una raccolta in “sequence” di Silvia Novelli
Beecroft, la rivincita del corpo di Giacinto Di Pietrantonio
Lou Reed taglia la grande mela di Melissa Mattiussi
Andy, acide fluoressenze di Melissa Mattiussi
Macro, erotismo e denuncia sociale di Fabrizia Palomba
CARTELLONE Il meglio del mese di Mattia Marzo
WORLD ART Cosa c’è da vedere di Lorenzo Perrelli
MUSEI E GALLERIE Rivoli, un castello a prova di futuro di Jan Pellissier
I racconti dell’acqua di Maria Luisa Prete
INDIRIZZI D’ARTE Le esposizioni in Italia di Maria Luisa Prete
VERNISSAGE Le inaugurazioni in Italia di Ferdinando Acciola
FOTOGRAFIA Reportage da cartolina di Alessia Vinci
L’altra fotografia di Alessandra Vitale
Gli scatti da non perdere di Alessandra Vitale
VIDEOARTE Realtà e finzione in dodici video di Claudia Quintieri
Plasma in festa di Claudia Quintieri
TALENTI EMERGENTI Pitture oniriche di Maria Luisa Prete
INCHIESTA Tarocchi e pinocchi sui colli toscani di Damiano Benvegnù
MERCATO & MERCANTI L’energia al servizio dell’arte di Marilisa Rizzitelli
Vendere certezze
colloquio con Pietro De Bernardi di Caterina Nobiloni Paratore
Il bello dell’Arma di Caterina Nobiloni Paratore
Colori e passione nel cuore di Roma di Maria Luisa Prete
Belle arti in tre più due di Riccardo Rabagliati
Pennelli in fasce di Francesco Molica
ARCHITETTURA L’altra faccia del costruire di Francesco Talarico
DESIGN “Mini award”, grandi idee di Lucia Bosso
Munari archeologo di Francesco Talarico
Creativi sotto l’ombrello di Pino Romano
L’humour vende di Giulio Spacca
METROPOLIS Capofaro, le Eolie in una suite di Sophie Cnapelynck
La casa creativa di Elisa del Prete
LETTURE E FUMETTI In pagina da vent’anni di Ernesto Ferrero
Ken Parker, l’antieroe di Checchino Antonini
CINEMA E TEATRO Centochiodi: l’uomo in croce di Maurizio Zuccari
Pages, ballo totale di Ornella Mazzola
MUSICA Spazzatura post-it di Simone Cosimi
E PER FINIRE Il concetto come scopo di Aldo Runfola
L’angolo acuto di Valerio Di Gravio
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Félix Duque
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n. 88 luglio-agosto 2012

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Maurizio Zuccari
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Davide Coltro, un'immagine della serie "Misteri", 2003

Davide Coltro, un'immagine della serie "Misteri", 2003

Davide Coltro, "Mcl120906", 2006

Un portone a via Digione. Due passi sotto il livello del traffico milanese e il sottoscala riverbera di neon neri. Oscurità oniriche, caravaggesche, si accendono alle pareti, sui monitor accatastati nei 150 metri quadri di “Alghe blu”, lo studio-laboratorio di Davide Coltro. E lui, sprofondato sulla vecchia poltrona di pelle al centro del suo mondo popolato da creature elettroniche, spiega con la sua mole da lottatore l’etereo racchiuso nelle sue visioni, snocciola il senso della sua arte digitale. Di quelle immagini mute con le quali sogna di inzeppare l’immaginario del Belpaese, offrire uno scampolo di riflessione e di scampo agli ingorghi dell’oggi. E, magari, da questo scantinato avviare una piccola rivoluzione dove basti un clic per portarsi, a casa o in qualunque altrove, un quadro fatto di luci, visioni contaminate di tecnica nuova ed estetica antica. E proprio “potenziale estetico” è la parolina che apre la porta sul nuovo, per il nostro.

Partiamo da qui?
«Partiamo dalla difficoltà che il quadro elettronico ha di essere capito nella sua interezza. Spesso ci si ferma semplicemente davanti all’immagine, all’oggetto. Sono passati due anni dall’esordio di questa mia concezione del lavoro. A monte di tutto c’è l’idea che l’artista crei un potenziale estetico e lo distribuisca in un network. In alcuni punti nodali della “rete” ci sono questi condensatori di flusso, i quadri elettronici che oggi hanno questa forma, un domani potrebbero essere molto diversi, più o meno interattivi».

Come avviene l'interazione con l'utente?
«Nelle mie prossime mostre verranno allestiti grandi quadri elettronici e i contenuti verranno scelti dal pubblico. Potranno accedere dal mio sito web a un database con i lavori pronti e scegliere il giorno e l’ora nei quali vedere il paesaggio per 10 minuti o un quarto d’ora, secondo il “timing” fissato per l’esposizione. Il privato, invece, può scegliere dal database quali immagini desidera che vengano trasmesse oppure può optare per la trasmissione da parte mia di 16 icone digitali, una ogni 20 giorni circa, create per la committenza specifica: faccio solo esemplari unici. È un’interazione silenziosa col mio lavoro, un’avventura che il collezionista, il fruitore vivono assieme a me, nell’esplorazione del mondo con un progetto che genera attesa e aspettativa, è sempre una sorpresa. Non mi sono mai occupato di web art o net art. Fin dall’inizio avevo in mente un quadro elettronico “animato” da un collegamento con l’artista».

A ogni modo siamo sulla linea di confine tra fotografia e web art.
«Sì, ma anche con la pittura. Mi considero un pittore digitale, non un fotografo o un videoartista, nonostante abbia realizzato un video. È difficile spiegare alle persone che su un pannello lcd, che considero una sorta di tela elettronica, non è necessario che ci siano immagini in movimento, possono benissimo essere statiche. Ripartendo da questo grado zero dell’utilizzo della superficie elettronica si potrà ragionare sulla qualità».

In che senso?
«La ricerca della qualità pittorica di un’immagine statica è un terreno pieno di incognite, siamo all’inizio dell’esplorazione. Non è sufficiente scansionare del materiale o fare dei semplici lavori con Photoshop: bisogna iniziare a considerare l’lcd come una tela elettronica, non un semplice strumento sul quale sparare dei video. Il quadro elettronico nella mia ricerca pone domande più che dare risposte».

Come quasi tutta l’arte.
«Come quasi tutta l’arte. Quando si affrontano delle novità, percettivamente, esteticamente, fenomenologicamente, si affrontano degli scarti: bisogna lavorarci molto. Mi auguro che tra dieci o vent’anni ci siano moltissimi artisti che lavoreranno emettendo la loro arte in rete, su terminali artistici remoti. Nell’arte digitale la facilità di riproduzione è tale da garantirne la sopravvivenza. I componenti che utilizzo sono di tipo industriale, mai di fascia “consumer”. Hardware e software sono affidabilissimi, ed eventuali guasti sono facilmente riparabili».

I suoi sono paesaggi immateriali, onirici.
«È la mia cifra poetica. Non sono mai riuscito a entrare nel vivo di un'arte graffiante, ironica quando non truculenta, trash o aggressiva. È un lavoro lirico, di nobilitazione del quotidiano. Nei miei quadri elettronici ho scelto il paesaggio come soggetto d'esordio. Nella storia e nello sviluppo della pittura il paesaggio ha avuto un ruolo fondamentale. In questa fase in cui cerco di “traghettare” una concezione della pittura su questo nuovo mezzo, per me il paesaggio è qualcosa di importante, è una citazione. Mi auguro che le persone che si trovano davanti a un mio quadro guadagnino del tempo mentale per sé stesse. Credo che l’opera debba avere una vita complementare nella mente dello spettatore un’interazione».

Che rapporto c'è fra la cifra stilistica dei paesaggi e quella delle figure su sfondo nero?
«Ho iniziato il mio lavoro digitale partendo proprio dall’oscurità, dal vuoto, dall’assenza di segnali luminosi nel definire i generi tradizionali della pittura, ovvero il ritratto, la figura e il paesaggio. Sempre con questo vuoto, con questo nero che non era mai un nero grafico ma era spazio, rappresentava un vuoto. Completato questo ciclo ho fatto delle considerazioni sul colore ed è nato il concetto di “colore medio”. I “Medium color landscapes” sono delle strutture compositive, degli scheletri di immagini di paesaggio a cui applico una seconda pelle campionando i colori all’interno della foto originale e creando questo “colore medio”, una nuova entità di luce e colore che ripopola questo vuoto. Una soluzione che mi è stata suggerita esclusivamente dal digitale: sono numeri».

Ritratto, figura umana, paesaggio: un manierismo che è il filo rosso della storia dell’arte.
«Sono stato molto ispirato dalla storia della pittura classica. In un certo qual modo è anche un percorso personale. Lei giustamente parla di una sorta di manierismo, il mio è un manierismo digitale ma sempre con una consapevolezza, con un grosso problema da risolvere, perché questa superficie va condivisa emotivamente con le persone che la guardano. Non è solamente un viaggio personale. Le opere della serie “Systems” condizionano l’ambiente perché proiettano luce, colore, caricano di responsabilità l’operato dell’artista che crea e distribuisce potenziale estetico nella comunità dove vive».

Cosa vorrebbe che si vedesse nei suoi lavori?
«Mi piacerebbe che il lavoro fosse percettivamente leggero ma mentalmente consistente. Che aiutasse le persone a guardare il mondo con degli occhi diversi. In autostrada, in treno, solcando le pianure del nostro piccolo meraviglioso paese la gente vede questi paesaggi come non li ha mai visti prima. Rimane alla fermata del tram, aspettando la corsa successiva per gustare queste figure, la loro plasticità in un nero silenzio mentale. Per me sono soddisfazioni enormi. I temi fondamentali dei miei lavori sono un’interpretazione della vita in chiave escatologica, il problema dell’essere, l’identità, il mistero della conoscenza. Percepisco questo sfarfallìo dell’essere in bilico tra razionalità, percezioni, utilità. Questo continuo fluttuare di stati d’animo che condensa più o meno l’essere. Inseguo il mistero, la meraviglia, il non consumare tutto immediatamente ma fare in modo che la percezione esteriore delle cose alimenti il mondo interiore. Nell’immagine cerco sempre eleganza, mistero, densità. Mi auguro che nel mio lavoro sia percepibile. È espressione dell’animo umano, dello spirito: c’è un senso di trascendenza anche quando si canta la miseria dell’uomo. Fa parte di una necessità interiore di ricollocare la percezione della vita all’interno di una griglia, anche se mi sembra una definizione un po’ arida, all’interno di un universo interiore che sia nutrito dal sentimento della meraviglia, anche nei confronti della finitezza umana. Questo sentirsi così piccoli proprio perché si è grandi. Nell’opera possono coesistere questi valori, del resto mi interessa poco. Sono poco tollerante nei confronti di certa arte che si consuma. Quando un artista inizia a parlare di politica, a diventare blasfemo in modo strumentale, a esibire delle categorie culturali da bancarella, d’effetto, c’è qualcosa che non funziona nella sua sensibilità. Mi rendo conto che non è una visione contemporanea, ma è piuttosto condivisa».

Qualche esempio?
«Non me lo chieda».

E invece chi apprezza?
«Tanti. Si dice che nell’arte si parta dalla prostituzione per arrivare alla verginità: amo oltre ogni misura Edward Hopper, l’astrattismo lirico della pittura americana e quella a cavallo tra ‘800 e ‘900».

Obiettivi, sogni?
«L’obiettivo è di essere all’altezza della mia ricerca, non è semplice per un artista creare un nuovo media e saperlo riempire. Mi chiedono: “cosa rappresenti?”. C’è un contenitore e un contenuto. Cosa ti faccio vedere, un quadro elettronico spento? Un Malevich hardware? È un casino, anche le didascalie sono da inventare: è “un’icona digitale trasmessa a quadro elettronico”? Non so più che pesci pigliare, non ci dormo la notte. Quanto al sogno, vorrei dare il mio piccolissimo contributo per migliorare il mondo. Ma piccolo piccolo, eh».

L’ARTISTA DEL MESE
Davide Coltro è nato a Verona il 21 marzo 1967. Si appassiona all’arte grazie al padre che organizza esposizioni di pittori locali. «La mia prima infanzia si è svolta nel mondo dell’arte, seppur minore – racconta – casa mia era frequentata da artisti, pittori, scultori, mercanti. Tutto finì con l’adolescenza, anche se quell’esperienza mi è rimasta dentro. Ho fatto cose diversissime, il perito elettronico, l’agente di commercio, l’inventore. Poi, a 29 anni, non sono più riuscito a pensare ad altro e ho iniziato quest’avventura con i ritratti, esponendo in un bar.
Oggi il Cimac di Milano e la galleria civica di palazzo Forti, a Verona, hanno acquisito i miei lavori». Dalla città scaligera, dove restano la madre, il fratello e la sua compagna, lo sbarco a Milano, dove vive e lavora. «Milano mi piace, è bruttissima, grigia, una cosa… Ma per me è poesia vedere questi enormi casermoni, la nebbia… La città scontano una certa leggerezza avuta in passato nei confronti della cultura da parte di politici e amministratori che non hanno favorito uno sviluppo pubblico dell’arte. Ma rimane un posto dove accadono le cose, un luogo dinamico, legato al lavoro, dove c’è poco spazio per il resto».