Gate 4 : Networking - Le citta' della gente


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 Meschac Gaba impegnato nel workshop. Foto di Andrea Abati
 
Intervista a Meschac Gaba

Gianni Caverni

Riciclare e' un'opera da fare ad arte*

'In Africa si dice che un uomo e' padre di un bambino e che un bambino e' padre di un uomo' racconta Meschac Gaba il giovane artista, originario del Benin, che vive da sette anni ad Amsterdam.
E' una frase che ben sintetizza il senso di continua trasformazione che sta alla base del suo originalissimo lavoro. Gaba e' a Firenze per condurre il primo dei workshop organizzati, nell'ambito della rassegna 'Networking - Le citta' della gente', curata da Marco Scotini, e che coinvolge cinque citta' toscane e molti giovani artisti. Gli altri workshop saranno guidati dai Superflex, dagli Stalker, da Bert Theis e da Carlos Garaicoa.

Per quest'occasione sono stati raccolti abiti usati di bambini, soprattutto cappellini, guanti e sciarpe. Che uso pensa di farne?

Il laboratorio si chiama 'Transformation', la mia idea e' quella di realizzare, con i giovani partecipanti al laboratorio, dagli abiti dei bambini degli abiti per adulti. Abiti che saranno indossati in occasione della sfilata che si terra' sabato a conclusione del workshop.

Una sfilata di moda dunque?

Si' alla maniera di Yves Saint-Laurent o di Armani, solo che la stoffa che usiamo e' meno pregiata, sono scarti.

Questa sfilata si chiama 'Summer Collection' come uno dei dodici ambienti, o dipartimenti, del suo Museum of Contemporary African Art. Museo immaginario e nomade che e' l'opera che, iniziata nel 1997 alla Rijksakademie di Amsterdam si e' conclusa a Kassel, all'ultima edizione di Documenta. Perche' 'Summer'?

Da noi in Africa praticamente c'e' una sola stagione, l'estate, ci vestiamo sempre alla sessa maniera. Come sarebbe possibile una collezione autunno-inverno? I vostri vestiti vecchi da noi arrivano, diventano un'altra cosa, vivono una seconda vita e possono diventare elementi di una nuova identita' individuale e collettiva. Insomma avviene una trasformazione, appunto, molto articolata.

E una trasformazione si e' attuata in continuazione anche nel suo ruolo durante i 6 anni del Museo.

Sono stato imprenditore, collezionista, maestro di cerimonia, sposo, cuoco, stilista, bibliotecario, musicista. Da cuoco ho guidato sei artisti che cucinavano, e nella discoteca, la Music Room, ho fatto un lavoro con le cassette registrate; quelle piratate naturalmente, quelle che commerciano qua gli africani come me.

Nella Music Room ha prodotto anche suoni.

Si' ho dipinto d'oro dei dischi in vinile e poi li ho messi sul giradischi. Ecco, 'sentite', ho detto presentando il rumore assordante e sgradevole che si produceva, 'questo cattivo suono e' quello del denaro'.

Adesso il Museo e' chiuso?

L'operazione si e' conclusa e e' tutto in vendita, tutto, perche' il tredicesimo ambiente, il magazzino, non ho voluto farlo.

Lei e' stato invitato alla prossima edizione della biennale di Venezia, puo' dirci cosa presentera'?

No, e' un segreto, posso solo dire che sara' una barca, anzi una barca-bar o meglio un ginger bar. E poi ci saranno disegni fatti con le mani dei miei due figli di pochi mesi.

Perche' il ginger?

Perche' e' una radice e le radici sono importanti. E poi il ginger nasce in India e si e' sviluppato in Africa eppure e' famoso e diffusissimo in Inghilterra, per esempio.

E i bambini, ancora, come qui a Firenze.

Dai guanti dei bambini, cuciti insieme, faremo una bandiera che sara' appesa al palazzo dell'assessorato alla cultura dove si terra' la sfilata. Ma non ci saranno solo i guanti. Ai partecipanti al workshop ho chiesto delle vecchie banconote, quelle delle lire, le voglio inserire nella bandiera. Anche le banconote o comunque i soldi ci sono spesso nei miei lavori, sono simboli universali. A Rotterdam c'e' da anni il Social Project che mette insieme gli anziani con i bambini per mantenere un tessuto sociale. E' una forma di riciclaggio, di trasformazione continua.

Proprio a Rotterdam uno degli ambienti del Museo era una biblioteca ed in mezzo ai libri c'era una bara.

Da noi diciamo che quando muore un uomo muore una biblioteca perche' ancora la trasmissione del sapere avviene molto per via orale. Era da poco morto mio padre ed ho voluto che in quella 'biblioteca' si sentisse la sua voce che raccontava la mia vita.

Era la vera voce di suo padre?

No era un attore, era una fiction, ma va bene cosi'.

Niente e' certo, niente e' originale, tutto sente ogni influenza e cambia. Le idee che potevamo avere sull'arte africana prevedevano animismo e folclore, nel suo lavoro, e non solo nel suo, tutto e' invece provvisorio, intrecciato, riciclato e soprattutto sfugge alla nostra voglia o bisogno di classificazione.

Tornando al Museo, dodici ambienti collaterali, dalla sala giochi a quella per i matrimoni, ma manca proprio il museo inteso come luogo sacrale dell'arte. C'e' tutto cio' che collega l'arte alla vita reale ma l'arte come la intendiamo in occidente e' assente. Perche'?

Come risposta otteniamo solo un sorriso, che a pensarci bene non e' poi cosi' poco.

*L'intervista e' tratta da L'Unita', 9 marzo 2003

INCROCI
articoli pubblicati nel Network UnDo.Net:

Pressrelease
 
CONFRONTI

Networking City
Artisti partecipanti alla mostra

Meschac Gaba
Transformation - Workshop

Meschac Gaba
English version

Gianni Caverni
Intervista a Meschac Gaba


Superflex
Supercopy/Self-Organizing - Workshop


Superflex
English version


Lorenza Pignatti
Intervista a Superflex

Stalker
Osservatorio nomade - ON/Livorno - Workshop

Stalker
English version

Manifesto di Stalker
Dal sito web di Stalker

Bert Theis
OUT - Office for Urban Transformation - Workshop

Bert Theis
English version

Marco Scotini
Intervista a Bert Theis

Carlos Garaicoa
Anatomia de la Ciudad - Workshop

Carlos Garaicoa
English version

Marco Scotini
Intervista a Carlos Garaicoa