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errediriporto: il transito al contrario del movimento non è una libera scelta, una condizione di vita, ma una forzatura. Come la forzata convivenza tra emigranti e stanti in un territorio. Le terre di riporto vengono spostate per costruire case, strade, spiagge e dentro sono conservati sementi e detriti che provengono da altri territori, si mischiano a quelli autoctoni, contaminandosi. Esprimono la potenza in fieri della natura e sono metafora della potenza in fieri dell’uomo. La controparte di quella globalizzazione piatta ed educata che ci viene proposta, molto più reale e sinceramente arrabbiata. E’ l’etnia che non si lascia definire perché rigetta qualsiasi tentativo di riduzione a parametri definiti, perché muta in ogni luogo e ogni contesto.
Microclimi, Microcosmi: la ricostruzione di un microclima attraverso la realizzazione di una serra che ospita piante epifite, ovvero piante che non hanno radici a terra, ma aeree e che vivono attraverso l’appoggio degli altri, libere di muoversi ovunque attraverso il vento, purché trovino il microclima specifico. Un passaggio tra disappartenza e condizioni di sopravvivenza interiore. La regola di una generazione, la nostra, che non si identifica in un’identità, ma cresciuta col pasto della globalizzazione si rassicura nel trovare il medesimo stile di vita quasi ovunque nel mondo, senza grossi traumi se non la lingua. Il non dichiararsi appartenente, stabile in un luogo e legato ad un clan e’ null’altro che il primo passo dell’apertura a tutto, senza reticenze e preconcetti di qualsiasi tipo: religiosi, politici, morali. Una specifica variazione in un processo globale di riduzione a medesimi termini.
Da Intervista Silvia Cini, Dialoghi, a cura di UnDo.net, on-line: www.illy.com/italia/arte/ |