Il cuore sospeso nell'ombra

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Indice :

1 La sfida!

2 L'omino che trasporta il rettangolo bianco

3 Lulu/Valentina studentessa in Giappone

4 La maschera

5 Senza titolo (non voglio "soccombere" alla tentazione di usare la frase presente nell'immagine come titolo)

6 La vestizione dei sub-eroi sotto gli occhi delle donne

7 A passeggio nel parco?

8 Dall'alba al tramonto

9 La donna del mistero

10 Il potere del taglio

11 Rifrazioni

12 Le latenze del bianco

13 Il cuore sospeso nell'ombra

14 Da lì qualcuno ci guarda

15 Con titolo

16 Il cielo è azzurro dappertutto!

17 Teatro e pittura, digitale

18 Oldernet

19 Ciò che l'immagine non dice

20 Un lago in "attesa"

21 L'incidente

22 Body-Landscape Art

23 La paura ha un volto (o una maschera)

24 POP-UP

25 Maschere

26 La famiglia

27 Figli dell'iperrealismo

28 Capitani coraggiosi

29 Rettangoli di prato

30 I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

31 Fotodinamismi

32 Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?

33 L'ambiguità del confine

34 Diruptio






La fotografia presenta la silhouette di una ragazza il cui corpo rimane in ombra poiché non è illuminato direttamente, ma raccoglie la luce radente proveniente da due punti, uno indietro a destra e uno indietro a sinistra, entrambi esterni all'area ritratta.

Dovremmo tornare alla fine del Cinquecento, a Roma, dove un giovane pittore, Michelangelo Merisi, detto Caravaggio (dalla sua città di origine), si rese conto che "addomesticando" la luce che illuminava i modelli, sarebbe stato possibile amplificare gli effetti emotivi dei propri dipinti.

Sono sempre titubante quando devo parlare di Caravaggio. Nella mia carriera ho avuto a che fare con persone provenienti da diverse parti del mondo e ho scoperto che Caravaggio è così universalmente conosciuto ed apprezzato, che qualsiasi rifermento alla sua pittura appare quasi tautologico. Sicché dire che rimandi a Caravaggio una immagine figurativa in cui la maggior parte della superficie rimane in ombra ed il soggetto è illuminato da luce radente che ne amplifica i contrasti, mi sembra di dire quasi una banalità.

Tuttavia per una rubrica che si occupi di spiegare il funzionamento delle immagini è fondamentale descrivere l'origine di un modello espressivo per comprendere il modo in cui questo venga applicato. Facciamo dunque finta che il modello di cui stiamo argomentando non sia stato introdotto da Caravaggio e parliamo del contesto nel quale esso è stato utilizzato in origine, prima di ritornare alla nostra fotografia.

Fino alla fine del Cinquecento, tranne rarissime eccezioni, la luce è stata rappresentata nei dipinti in maniera diffusa; anche quando erano presenti nei quadri raggi di luce o solari - simboleggianti ad esempio un intervento divino diretto - questi non inficiavano la diffusione della luce nel resto del dipinto. Un quadro poteva essere più o meno luminoso, ma in generale era la memoria o la convenzione dei pittori a dare corpo alla luce. Questo perché ci volevano diverse ore, nel maggior parte dei casi diversi giorni, per creare un dipinto. Ammesso che si stessero ritraendo modelli dal vero, l'effetto della luce su di loro nel corso del tempo cambiava, sicché i pittori interpretavano l'effetto di luce ed ombra sui corpi e sugli oggetti; e l'interpretazione era frutto appunto della memoria e della convenzione.

E' facile immaginare che in un mondo senza elettricità la vita si svolgesse soprattutto nelle ore diurne e che la notte fosse dedicata principalmente al riposo, perché poche erano le attività che si potessero svolgere al buio. Le notti dovevano essere chiaramente molto più buie di quanto non appaiano oggi, illuminate soltanto da lampade ad olio o candele. Le associazioni tra luce, vita, gioia, intervento divino e quelle tra buio, assenza di vita, paura, male erano immediate. Eppure nelle case, attorno al focolare familiare o nelle locande, attorno ad una candela, tra gruppi di amici, la vita e la gioia si nascondevano anche di notte. Dio esisteva anche di notte. La luce esisteva anche di notte.

E quelle candele che illuminavano i volti erano in grado di dare evidenza alle caratteristiche di una persona, perché il forte contrasto tra luce ed ombra ne metteva in risalto i segni del viso e del corpo, le espressioni dei sentimenti, così come i tratti peculiari della persona: ad esempio le cicatrici che ne testimoniavano la professione o le passioni.

All'interno di un ambiente chiuso si sarebbero potuti sottrarre i modelli alla luce solare per poi esporli ad una artificiale. In questo modo si potevano copiare direttamente gli effetti della luce su corpi e oggetti anche per diverse ore; li si sarebbe potuti ritrarre dal vero anche per tutta la durata del dipinto, senza dover necessariamente ricorrere alla memoria. Nei dipinti del primo Seicento realizzati con l'ausilio di luce artificiale è sempre molto riconoscibile una gestualità convenzionale nei modelli ritratti (pathosformeln che magari risalgono all'antichità classica); tuttavia la luce sui corpi ha un effetto decisamente realistico. Inoltre, la luce radente ne accentuava i contrasti di luce, marcando le espressioni sui volti e i segni sui corpi.

Apparirono così i poveri nei dipinti romani dei primi del Seicento: non perché in precedenza i modelli non fossero scelti tra le classi meno agiate, ma perché finalmente li si poteva ritrarre in modo realistico, marcando i segni distintivi di una vite "difficile".

Ma ciò che più ci interessa ai fini dell'analisi della nostra fotografia è che l'uso della luce artificiale consentiva di dare risalto a certe aree dei dipinti e non ad altre, concentrando l'attenzione dell'osservatore verso zone peculiari. Mi vengono alla mente la serie di ritratti di dottori di anatomia fatte da Rembrandt, nelle quali in dipinti di considerevoli dimensioni per lo più oscuri, quasi neri, emergevano i volti illuminati dei medici e il corpo inerte del defunto al centro in attesa di essere analizzato.

La luce artificiale e radente funziona come un faro nella notte, come un "occhio di bue" al teatro: direziona lo sguardo e concentra l'attenzione.

La fotografia qui presentata si mostra per lo più oscura; sono eliminati tutti i dettagli superflui e la luce radente dà risalto soltanto a pochi particolari:
1) la curva sinuosa del corpo di donna (la cui femminilità è accentuata dai capelli lunghi raccolti però in una coda per non coprire le linee del viso);
2) il profilo del volto che si mostra proteso in avanti;
3) la posizione dei piedi sulle punte;
4) le parti bianche della lastra radiografica che la modella ritratta ha tra le mani.

L'oscurità diffusa della foto - nella quale bianco e nero si susseguono l'un l'altro lungo il profilo nudo - consente all'autore di combinare perfettamente il corpo con la lastra radiografica: la curva dei fianchi, ad esempio, continua senza soluzione nel bacino mostrato dalla radiografia, dove solo l'inversione dei colori denuncia il passaggio.

L'uso "artistico" delle immagini ai raggi X è molto molto raro. La radiografia è uno strumento diagnostico che è utilizzato convenzionalmente per dare immagine allo scheletro umano; nonostante chiunque sia in grado di riconosce questa tipologia di immagini, è molto difficile che si possano utilizzare per rappresentazioni che esulino dall'ambito medico. Tuttavia di recente un artista belga, Vim Delvoye, ha saputo utilizzare le radiografie come "ironico filtro" per rappresentare curiosi giochi erotici della cultura contemporanea. Le sue "radiografie artistiche" spingono ad interrogarci se sia la visione della superficie corporea (cioè della pelle) o siano invece la descrizione della posizione dei corpi (da Delvoye sintetizzata nella rappresentazione del solo scheletro) a marcare la differenza tra una immagine pornografica ed una immagine erotica.

L'autore della nostra foto usa la radiografia come strumento e metafora del "guardare oltre" (il corpo). Ciò che normalmente utilizziamo per osservare la nostra struttura (ossea), oltre la pelle e i muscoli - sfiorati qui dal sottile riflesso della luce radente - offre in questa immagine un possibilità inconsueta per questo strumento. Un'area rossa, irregolare, unica traccia di colore in una foto altrimenti in bianco e nero, sottolinea la presenza del cuore.

Il cuore diviene fulcro dell'immagine, sospeso al centro di un corpo che sembra essere "abitato" solo da questo organo pulsante. Vengono alla mente le immagini ecografie fatte alle donne in gravidanza, nelle quali tra scie di linee bianche indistinte all'improvviso appare un corpuscolo pulsante (il cuore), a partire dal quale tutto il resto dell'immagine sembra prendere vita e senso all'improvviso: una scia di bianco diventa un braccio, un'altra il profilo del volto, un'altra ancora un piedino, ecc... Tutto grazie al cuore, fulcro e principio delle prime immagini di una vita.

Anche in questa immagine, la modella stessa sembra essere la prima ad essere sorpresa (all'improvviso) della presenza o della possibilità di vedere il proprio cuore. Si sporge in avanti, curiosa, per poter guardare, per potersi guardare dentro. Il disporsi sulle punte dei piedi assume così una doppia valenza: da un lato sottolinea la spinta curiosa della donna nel protendersi a "guardare oltre", dall'altro simboleggia l'elevazione del corpo, che grazie alla vita che gli scorre dentro, è in grado di spingersi oltre i limiti impostigli dalla propria struttura materiale.

Marco Izzolino


INVITO
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