Un lago in "attesa"

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Indice :

1 La sfida!

2 L'omino che trasporta il rettangolo bianco

3 Lulu/Valentina studentessa in Giappone

4 La maschera

5 Senza titolo (non voglio "soccombere" alla tentazione di usare la frase presente nell'immagine come titolo)

6 La vestizione dei sub-eroi sotto gli occhi delle donne

7 A passeggio nel parco?

8 Dall'alba al tramonto

9 La donna del mistero

10 Il potere del taglio

11 Rifrazioni

12 Le latenze del bianco

13 Il cuore sospeso nell'ombra

14 Da lì qualcuno ci guarda

15 Con titolo

16 Il cielo è azzurro dappertutto!

17 Teatro e pittura, digitale

18 Oldernet

19 Ciò che l'immagine non dice

20 Un lago in "attesa"

21 L'incidente

22 Body-Landscape Art

23 La paura ha un volto (o una maschera)

24 POP-UP

25 Maschere

26 La famiglia

27 Figli dell'iperrealismo

28 Capitani coraggiosi

29 Rettangoli di prato

30 I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

31 Fotodinamismi

32 Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?

33 L'ambiguità del confine

34 Diruptio






Ci sarebbe da chiedersi come mai chi mi ha mandato questa fotografia ci abbia tenuto ad avvisarmi che si tratti di uno scatto fatto da lui stesso durante un viaggio in Finlandia.

Forse perché ha pensato che avessi potuto scambiare questa immagine per una imitazione di un "Fontana": di un suo "Concetto spaziale"?

Credo sia difficile che chi legga questa rubrica su UnDo.net possa non conoscere i "Concetti spaziali" di Lucio Fontana; tuttavia poiché spesso capita che i miei scritti capitino su altri siti più generalisti, proverò a darne una sintetica spiegazione.

I "Concetti spaziali" sono delle opera concepite da Lucio Fontana tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta. Mostrano interventi gestuali su tela (preparata e posta sul classico telaio come base per un dipinto): si tratta di buchi o, nel caso delle più famose "Attese" , di tagli nella - e visibili sulla - superficie della tela. Fontana compie un’azione radicale che spinge la dimensione del quadro “oltre” i confini bidimensionali della tela, perché il suo gesto non manifesta distruttività ma un'esigenza di apertura: il taglio, il buco, lo squarcio aprono il dipinto allo spazio che si trova sia in senso fisico che in senso metaforico oltre la tela, rivelano il retro dello spazio del quadro e alludono a spazialità ulteriori (quelle dell'immaginazione, della fantasia, dell'arte).

La nostra fotografia è in realtà un paesaggio. Si, non c'è altro modo per definirlo. Avete presente quando si osserva un particolare luogo, se ne sceglie una porzione e la si ritrae (in un disegno, in un dipinto o con una macchina fotografica, ecc.). E' proprio quello che ha fatto il nostro autore. Solo che invece di ritrarre (che so) il tramonto tra le montagne o una fattoria in riva ad un lago o qualunque altro panorama di qualsivoglia parte del mondo, ha scelto dei semplici rami che fuoriescono da una liscia superficie d'acqua (probabilmente un lago).

Ma qui viene il bello. I rami non son ritratti perché si mostrino in quanto rami, ma perché, riflettendosi nell'acqua - e privata tutta l'immagine del colore - essi simulino proprio dei tagli su una superficie bianca. Il ramo che si specchia simmetrico nel suo riflesso, con la sua punta che si riproduce in basso, fa pensare alla traccia lasciata da un taglierino, un bisturi o un bulino su una superficie da incidere, che si assottiglia nel punto preciso in cui è cominciata o è terminata la pressione. Ogni ramo unito al suo riflesso simula, così, dei gesti verticali inferti su una superficie liscia e indifferenziata.

Il nostro autore ha saputo inquadrare talmente "ad arte" una porzione di paesaggio che, con la scelta del bianco e nero, ha inteso proprio imitare le "Attese".

Ma non era l'arte che imitava la natura? Non è nella "mimesi" che l'arte trova il suo fondamento?

Mi vien in mente quel modo di dire che si usa quando si osserva un panorama insolito e meraviglioso: "E' talmente bello che sembra un quadro!". Magari per gli effetti inconsueti di luce creati dal sole sulle nuvole, magari per la particolare colorazione dei fiori ritratti, o per il movimento che il vento esercita sugli alberi o sulle acque… magari… magari…. vi possono essere mille ragioni perché un paesaggio appaia insolito e, per questa ragione, non reale, ma frutto della fantasia di un artista.

Bhé, anche questi rami nel lago sono talmente insoliti che "sembrano un quadro"; un quadro non figurativo, però, ma concettuale.

Si possono interpretare come frutti dell'azione umana anche soggetti completamente naturali. Perché una natura completamente vergine in realtà non esiste: basta che l'uomo semplicemente osservi la natura, che questa risulti già antropizzata, umanizzata. A maggior ragione quando la si ritragga in una immagine: cioè nel momento in cui si riproduca parte di essa allo scopo di comunicare qualcosa.

Dal punto di vista semiologico non ha importanza se un oggetto sia nato col preciso scopo di comunicare qualcosa, sia frutto casuale dell'azione dell'uomo o sia invece solo effetto della natura. Qualunque oggetto può essere "segnico", può "significare" qualcosa, stando "al posto" di questo qualcosa.

Questa foto diventa, dunque, non un pretesto per ritrarre e immortalare un particolare luogo (in una determinata condizione di luce), ma l'occasione affinché quel particolare luogo riesca a manifestare un modo di guardare "alla natura": un modo per poter andare "oltre la sua superficie" così come intendeva fare Lucio fontana con i suoi quadri, trasfigurandoli in "Concetti spaziali".

Marco Izzolino


INVITO
Tutti gli utenti sono invitati a partecipare inviando un'immagine. Qui le indicazioni per partecipare alla Sfida: http://www.undo.net/it/my/gdev/124/251