Figli dell'iperrealismo

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Indice :

1 La sfida!

2 L'omino che trasporta il rettangolo bianco

3 Lulu/Valentina studentessa in Giappone

4 La maschera

5 Senza titolo (non voglio "soccombere" alla tentazione di usare la frase presente nell'immagine come titolo)

6 La vestizione dei sub-eroi sotto gli occhi delle donne

7 A passeggio nel parco?

8 Dall'alba al tramonto

9 La donna del mistero

10 Il potere del taglio

11 Rifrazioni

12 Le latenze del bianco

13 Il cuore sospeso nell'ombra

14 Da lì qualcuno ci guarda

15 Con titolo

16 Il cielo è azzurro dappertutto!

17 Teatro e pittura, digitale

18 Oldernet

19 Ciò che l'immagine non dice

20 Un lago in "attesa"

21 L'incidente

22 Body-Landscape Art

23 La paura ha un volto (o una maschera)

24 POP-UP

25 Maschere

26 La famiglia

27 Figli dell'iperrealismo

28 Capitani coraggiosi

29 Rettangoli di prato

30 I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

31 Fotodinamismi

32 Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?

33 L'ambiguità del confine

34 Diruptio










Credo che sarebbe difficile incontrare un elefante su un molo, trattenuto da tre corde sottili, con accanto un signore così indifferente ai possibili movimenti del pachiderma. Già solo questa constatazione mi ha subito fatto comprendere al primo sguardo che l'elefante non potesse essere vero.

Si tratta infatti di una scultura (l'elefante soltanto, perché il signor è vero!) iperrealista creata da un'artista che si chiama Stefano Bombardieri.

(Sul fianco dell'animale è visibile un contatore digitale che mostra il numero di esemplari rimasti della specie e il suo count-down scandisce il ritmo con cui la si sta costringendo all'estinzione; la presenza di questo contatore chiarisce meglio le intenzione dell'artista nel creare la scultura).

Questa foto, scattata con molta intelligenza, mi permette di dire qualcosa sull'iperrealismo che forse è stata sottovalutata.

Osserviamo una scena realmente accaduta nella quale però ciò che conosciamo dell'elefante sembra essere totalmente messo in discussione. Il più grande mammifero terrestre è talmente pesante che con una semplice zampata potrebbe uccidere un uomo, per cui chiunque si trovasse a poca distanza da quest'animale presterebbe molta attenzione a qualsiasi suo anche minimo movimento.

Il nostro fotografo sa che qualunque osservatore dell'immagine farebbe questa stessa constatazione, tuttavia "gioca" con essa e costruisce una situazione illusoria - perché visivamente verosimile - nella quale un uomo appare totalmente indifferente al possibile movimento dell'elefante a lui vicino.

La situazione, che appare "paradossale" perché sarebbe impossibile nella realtà, non fa altro che sottolineare l'indifferenza dell'uomo verso l'animale, la qual cosa è in sintonia con le intenzioni dell'autore della scultura che ha voluto, con questo elefante, rendere manifesta l'indifferenza degli esseri umani tutti nei confronti dell'approssimarsi dell'estinzione di questa specie.

L'arte è dunque in grado di rendere manifesto, attraverso l'assurdo ed il paradossale, qualcosa a cui siamo normalmente abituati ed a cui non prestiamo più attenzione; ma l'arte può anche fare di qualcosa in più: è in grado di aumentare le possibilità del reale rendendo plausibile, verosimile e, a volte, tangibile qualcosa che appare possibile solo nel pensiero o nella fantasia, come ad esempio il famoso "Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi ad un sasso che cade nell’acqua" realizzato da De Dominicis.

Quando alla fine degli anni Sessanta l'iperrealismo scultoreo fece la sua prima apparizione in America (e nei primi anni Settanta in Europa) i primi osservatori di questo nuovo genere di scultura rimasero decisamente frastornati. Ciò che appariva incredibile nelle modelle nude di John de Andrea o nel "bestiario" dei ritratti di americani di Duane Hanson era la capacità delle sculture di essere così fedeli alla realtà. Sembrava che gli artisti fossero tornati, con un balzo indietro nel tempo, ad esaltare le capacità mimetiche dell'arte, pur utilizzando dei materiali completamente moderni. Sicché questo tipo di scultura ha sempre generato nella critica pareri contrastanti e incerti.

Sono dell’opinione che la verità sulle sculture dei primi maestri dell’iperrealismo sia stata compresa solo a distanza di tempo, grazie alla visione simultanea delle tante fotografie scattate a quelle opere e soprattutto grazie all’interpretazione che della scultura iperrealista hanno dato i suoi eredi contemporanei, in modo particolare Ron Mueck.

L'incredibile verosimiglianza delle sculture di John de Andrea e Duane Hanson non era fine a se stessa; nelle intenzioni degli autori c’era la volontà di coinvolgere lo spettatore, trascinandolo nel proprio gioco sottile. Che cosa avrebbero fatto gli osservatori trovandosi di fronte alle avvenentissime modelle nude in pubblico? Che fossero finte o vere poco importava, perché il comportamento probabilmente sarebbe stato il medesimo… E guardando i feroci ritratti di Hanson chiunque avrebbe potuto pensare: "e se l'artista ritraesse me che cosa metterebbe in evidenza?"

In sostanza i veri soggetti dell'iperrealismo sono proprio le persone reali che circondano le sculture, perché quest'ultime non sono altro che degli attivatori di provocazione: che cosa farei io di fronte a questa scultura, che cosa riprenderebbe un fotografo se mi fotografasse davanti ad essa?

Ron Mueck che ha ripreso a realizzare sculture iperrealiste a distanza di vent'anni da quei primi "maestri" ha avuto a disposizione materiali più all'avanguardia e ha potuto creare sculture molto più grandi e provocatorie. In più oggi, che è possibile scattare e diffondere fotografie con molta più facilità di quanta non fosse possibile negli anni Settanta e Ottanta, l'artista Ron Mueck si può divertire su internet a constatare (attraverso le tante fotografie scattate alle sue sculture insieme ai loro osservatori) i tanti effetti che ha saputo provocare…

Vi propongo così per chiudere questo articolo una fotografia scattata ad un'opera di Mueck insieme ad un guardiano del museo in cui era esposta, che sembra curiosamente mostrare, in modo alternativo, quella stessa "indifferenza" che ha rappresentato l'autore della foto qui presentata…

Marco Izzolino


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