I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

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Indice :

1 La sfida!

2 L'omino che trasporta il rettangolo bianco

3 Lulu/Valentina studentessa in Giappone

4 La maschera

5 Senza titolo (non voglio "soccombere" alla tentazione di usare la frase presente nell'immagine come titolo)

6 La vestizione dei sub-eroi sotto gli occhi delle donne

7 A passeggio nel parco?

8 Dall'alba al tramonto

9 La donna del mistero

10 Il potere del taglio

11 Rifrazioni

12 Le latenze del bianco

13 Il cuore sospeso nell'ombra

14 Da lì qualcuno ci guarda

15 Con titolo

16 Il cielo è azzurro dappertutto!

17 Teatro e pittura, digitale

18 Oldernet

19 Ciò che l'immagine non dice

20 Un lago in "attesa"

21 L'incidente

22 Body-Landscape Art

23 La paura ha un volto (o una maschera)

24 POP-UP

25 Maschere

26 La famiglia

27 Figli dell'iperrealismo

28 Capitani coraggiosi

29 Rettangoli di prato

30 I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

31 Fotodinamismi

32 Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?

33 L'ambiguità del confine

34 Diruptio








Jeff Koons, Ushering in Banality, 1988

Questa fotografia è stata scattata in un'area di servizio sull'autostrada Roma-Napoli.

Ad ognuno di noi, magari col proprio telefono cellulare, capita di scattare una fotografia per caso, nel momento in cui un particolare che ci sta di fronte merita, secondo la nostra opinione, di essere "registrato" e "conservato".

Personalmente non trovo questa immagine particolarmente attraente; tuttavia devo riconoscere che il suo autore ha saputo con questa fotografia cogliere degli elementi interessanti che a mio avviso meritano di essere analizzati.

La foto ritrae una porzione di un espositore per adesivi, sul quale si riconoscono immagini di varia natura: provocazioni di natura sessuale, icone religiose, simboli pseudo patriottici, metafore animali sul carattere personale, ecc. In sostanza si tratta di una immagine sintetica del concetto di "emporio", che ancora sembra caratterizzare le aree di servizio e gli autogrill di oggi.

L'etimologia del termine "emporio" ha origine dal greco antico e indica precisamente il luogo di approdo di un viaggiatore.

Va da sé che essendo un luogo di approdo per viaggiatori di ogni sorta, l'emporio/area di servizio/autogrill debba contenere e proporre beni per una grande varietà di persone, le più diverse possibile.

Si tratta di un "non-luogo", cioè di uno spazio non particolarmente caratterizzato nel quale si possono riconoscere identità di varia natura, nessuna prevalente: un luogo di approdo per molti, che hanno diversa provenienza, e diversa destinazione (e i termini "provenienza" e "destinazione" non sono intesi soltanto in senso fisico).

E' in questi “luoghi della varietà” che possiamo incontrare le persone più lontane (sempre usato in senso non soltanto fisico) da noi, perché l'empori/autogrill accetta tutti e ha un'offerta per tutti. L'autogrill è una piccola sintesi della varietà che costituisce il nostro paese: un microcosmo rappresentativo dell’Italia.

Ancora: è in questi “luoghi della varietà” che si possono incontrare le persone più insolite, individui che riescono a coniugare in sé le caratteristiche e le esigenze più diverse e di conseguenza più singolari: c'è chi riesce a bere una birra mangiando un bignè alla crema e c'è chi conserverebbe un santino in una rivista pornografia…

Se ciò che vediamo in un emporio/autogrill non è altro che l'espressione esteriore (fisica appunto) di una varietà e/o singolarità interiore... un’immagine come quella qui proposta può essere considerata una sintesi ti tale varietà e/o stranezza.

Quando in una stazione di servizio mi trovo davanti a questo tipo di espositori, mi riscopro a storcere il naso, perché mi disturba l'aspetto un po' kitsch sia dell'insieme (immagino la grande stampante dalla quale escono contemporaneamente piccole icone sacre di Padre Pio e silhouette femminili in atteggiamento provocatorio) che dei particolari (disegnati in maniera così grossolana).

Sarebbe però un errore considerare i possibili acquirenti di questi adesivi come appartenenti ad una realtà culturale tanto distante dalla mia. Il fatto cioè che trovi queste immaginette di cattivo gusto o grossolane non vuol dire che non mi imbatta di frequente in questo tipo di rappresentazioni e che dunque non siano per me chiaramente comprensibili.

Gli spazi che ciascuno di noi vive quotidianamente (casa, ufficio, automobile, ecc.) sono popolati di oggetti che hanno per noi un valore particolare: ricordi di famiglia, personali, simboli religiosi o di appartenenza ad un determinato gruppo; che proprio in virtù del valore affettivo che hanno per noi, smettono di essere considerati (da noi) nel loro aspetto puramente esteriore. Chi li osserva dall'esterno, tuttavia, non avendo con questi alcun legame personale, ne “legge” ogni difetto, estetico, costruttivo o dovuto all'uso o al trascorrere del tempo. Entrando ad esempio per la prima volta in una casa antica o d'una persona anziana, intrisa di ricordi di una o più vite, si può credere di essere entrati improvvisamente nel “regno del kitsch”.

Il termine “kitsch” ha subito nel corso del tempo una evoluzione di significato. Se inizialmente era associato ad oggetti di cattivo gusto, dall'aspetto svenevole o dall'espressività patetica, quali ad esempio appaiono spesso le imitazioni superficiali, industriali o di massa di oggetti o immagini di pregio; col tempo il significato di questo termine si è modificato: ha perso la sua accezione fondamentalmente negativa, complice il fatto che gli artisti d'avanguardia sceglievano di ricorrere deliberatamente al kitsch.

In origine apparivano kitsch le inutili resistenze decorative del passato: ad esempio quelle barocche in epoca già paleo-industriale o quelle neoclassiche in architettura e popolari nell'artigianato in un periodo in cui nuovi materiali e nuovi macchinari avevano fatto il loro ingresso nel stemma produttivo. Ma poi, dall'Eclettismo tardo ottocentesco al Postmoderno un secolo dopo, passando per movimenti come l'Art Nouveau, la metafisica, il Surrealismo, l'Arte Povera, il Nouveau Réalisme gli artisti ci hanno abituati ad un continuo ripensamento di elementi del passato, grazie anche a nuovi processi espressivi come il ready-made, il collage o l'assemblaggio, ecc.

Se in architettura e design si possono definire kitsch tutti quegli elementi decorativi che non hanno una relazione diretta con la funzione, nell'ambito del visivo più in generale vengono definiti così tutti quegli elementi dell'immagine che rimandano a stili o modelli espressivi del passato, riproposti o attraverso una citazione o attraverso una riutilizzazione di parte o tutto del manufatto antico.

Ma non è tanto il processo della citazione o della riproposizione del passato operato dagli artisti ad interessare il nostro discorso - che anzi merita una trattazione diversa e forse più ampia - quanto piuttosto quello del "mettere insieme" elementi di diversa natura e semplificati rispetti ai modelli d'origine al fine di creare un complesso significativo di natura emotiva o che ha uno scopo narrativo.

In un celebre poema Guido Gozzano, già all'inizio del Novecento, ha messo in luce il potere evocativo e poetico del considerare insieme quelle che lui definiva "le buone cose di pessimo gusto".

Ne "L'amica di nonna Speranza",

il Loreto impagliato,
il busto d'Alfieri,
di Napoleone,
i fiori in cornice,
il caminetto un po' tetro,
le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito salve,
le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici,
gli acquarelli un po' scialbi,
e stampe,
i cofani,
gli albi dipinti d'anemoni arcaici,
le tele di Massimo d'Azeglio,
e miniature, ecc…

avevano la capacità, considerati nel loro insieme, di ricreare l'atmosfera di un piccolo mondo provinciale del passato, guardato con un rimpianto fra struggente ed ironico, che attraeva e respingeva il poeta a un tempo, ma che lo legavano inevitabilmente al ricordo della nonna… a quando probabilmente nel corso della sua infanzia si trovava difronte a uno o più di quegli oggetti così distanti da lui, ma così cari alle persone che amava.

L'infanzia. E' questa forse una possibile chiave di lettura.

E' nel corso dei nostri primi anni di vita, della nostra formazione, educazione, che ci troviamo a scoprire cose diversissime tra loro - che si manifestano negli oggetti che ci circondano - con curiosità ed interesse, ma senza necessità e volontà di giudizio: tutto è nuovo, tutto è fonte di apprendimento…

Poi crescendo… impariamo a distinguere, a notare le differenze, a scegliere tra le cose, a giudicare… Tuttavia quegli oggetti che hanno popolato la nostra infanzia, ci rimangono nel "cuore".

Penso ad alcune opere di Jeff Koons - come ad esempio quella che qui propongo in foto - e mi rendo conto che quel mondo "incantato" nel quale coesistevano immagini religiose a cui rivolgevamo le nostre preghiere, riproduzioni di animali con cui imparavamo a conoscerli, libri di favole che animavano la nostra fantasia e giochi con gli amici con cui cominciavamo a condividere ciò che ci apparteneva, fa parte di ciascuno di noi: è un patrimonio di ricordi e di emozioni a cui tutti dovremmo essere in grado di guardare, senza giudicare, ma considerando l'origine comune delle nostre diversità.

Si, credo sia ingiusto considerare questi adesivi lontani da quello che io sono… oggi.

Marco Izzolino


INVITO
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