John Baldessari, "Throwing four balls in the air to get a square"
Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?
Con questa frase, che non è mia, vorrei introdurre l'analisi dei modelli della immagine pubblicata. La frase è il titolo, ed il soggetto, di una delle primissime opere di John Baldessari: era letteralmente dipinta su un fondo monocromo arancione dalle pennellate molto evidenti.
Si trattava di uno dei primissimi tentativi - che l'artista ha operato poi per tutta la sua carriera - di manifestare nei propri lavori la "struttura" che sottende ogni immagine e che si rende necessaria affinché l'immagine stessa possa risultare comprensibile.
Ne "La destituzione filosofica dell'opera d'arte" Il filosofo americano Arthur C. Danto propose di definire le opere d’arte come oggetti semi-opachi: trasparenti e opachi allo stesso tempo, ovvero oggetti in cui si avverte una «interazione fra contenuto e modo di presentazione». In una immagine, opaco può essere definito il contenuto vero e proprio dell’opera che l’autore intende proporre, trasparente invece può essere definito tutto ciò che contribuisce, nel modo di presentarla, alla sua corretta interpretazione. Una struttura geometrico-prospettica, ad esempio, sottende "in trasparenza" alla pittura a partire dal Rinascimento ed è la base "invisibile" di qualunque fotografia.
Alcuni artisti del Novecento, tra cui Baldessari, hanno contribuito ha rendere manifesto (cioè "opaco") nel proprio lavoro quella parte trasparente delle immagini che ha a che fare con il "modo di presentazione". In "Alfabetizzazione visiva" ho proposto di definire il linguaggio di questi artisti "metavisione", il cui scopo era quello di rendere consapevole - o maggiormente consapevole - la visione (del mondo).
Esiste un'opera - meglio operazione - d'arte molto nota di Baldessari che si intitola "Throwing four balls in the air to get a square" (lancio di quattro palle nel tentativo di avere un quadrato): si tratta d una serie di scatti fotografici (i migliori 36) nei quali l'artista tenta di immortalare quattro palle lanciate in aria nella posizione esatta in cui apparirebbero come i vertici di un quadrato; (ne ripropongo qui un estratto). Le intenzioni dell'artista, così come la presenza delle quattro palle nell'inquadratura, ed occasionalmente delle cime degli alberi, diventano opportunità di visione ed osservazione del cielo: i segmenti ideali che uniscono le quattro palle divengono la struttura trasparente che sottende all'immagine del cielo (dell'aria) che altrimenti sarebbe non-rappresentabile. Il tentativo dell'artista diviene dunque quello di rendere manifesta questa struttura invisibile.
La "struttura" di una immagine, però, non è necessariamente una struttura di natura geometrica; può ad esempio essere di natura relazionale, e appare quando ad esempio di mettono in evidenza in una immagine i rapporti tra le parti rappresentate: rapporti di grandezza, di gerarchia, sociali o storici, ecc. Una differenza di grandezze, ad esempio non sempre intende mettere in evidenza la griglia prospettica che sottende all'immagine, ma (soprattutto in una immagine manuale) può significare una differenza di importanza tra le parti o le figure rappresentate. Si pensi, per esempio, alla differenza di grandezza (gerarchica) che c'era nella pittura pre-rinascimentale tra l'immagine dei santi e quella dei committenti presenti in un dipinto.
L'immagine qui pubblicata mostra come due immagini sovrapposte: una semitrasparente e puramente geometrica; l'altra figurativa e che rappresenta una gru e il tetto di un'abitazione visti dal basso. La fusione delle due immagini in una, che mi appare frutto di un artificio (o l'artificio sta nel farla sembrare una sovrapposizione?) ottico o digitale, determina un collegamento ideale tra i due elementi figurati che altrimenti apparirebbero come corpi estranei ad una porzione di cielo limpido e monocromo.
La striatura della piramide che collega la casa all'apice della gru, ricorda il lavoro di un altro artista - questa volta europeo - che ha impiegato tutta la propria attività nel mettere in evidenza la struttura che sottende alle cose, Daniel Buren.
Negli anni Sessanta Buren propose una nuova definizione del segno artistico, inaugurando quello che lui definiva “uno strumento per vedere”: si trattava di un modulo bidimensionale realizzato non come un segno pittorico e manuale, ma come un prodotto industriale attraverso il quale poter misurare, alterare e sottolineare uno spazio già esistente. Tale modulo consisteva in strisce verticali bianche alternate a strisce colorate, tutte dello stesso spessore: si trattava di semplici prodotti standardizzati ripetitivi.
Il pensiero e l'operato artistico di Buren si riassumevano, e ancora si riassumono, nella volontà d’indagine analitica delle leggi della percezione visiva: applicandosi alla realtà, i suoi moduli creano un connubio tra arte e spazio, accompagnato da una volontà di riflessione sulle leggi della percezione visiva.
Delle semplici strisce seriali, varianti solo in base al loro supporto di presentazione (manifesti, tessuti che sventolano come bandiere, materiali plastici o materiali pregiati come il marmo, ecc.) e pronte ogni volta a trasformarsi in qualcosa di diverso, hanno la forza di cambiare l’ordine consueto dell’ambiente in cui si vanno ad inserirsi: le sue strisce hanno la capacità di "illuminare" un luogo, per restituirlo agli occhi di chi lo attraversa o lo abita normalmente in forma rinnovata e sotto una nuova luce.
Questo è anche a mio avviso il senso delle strisce che collegano la gru al tetto nella fotografia qui pubblicata: hanno la capacità di rendere manifesto un rapporto potenziale tra gli elementi figurati della fotografia; rendendo "carica di energia visibile" una immagine altrimenti piatta e banale.
Non potremmo mai sapere realmente se le strisce siano vere o artificiali, se siano state ritratte con un espediente ottico, analogico, o digitale, tuttavia "esistono" nell'immagine, dunque:
Supponiamo che siano vere, dopo tutto? E allora?
Marco Izzolino
PS. L'autore di questa immagine ha dichiarato che non si tratti di una manipolazione digitale, ma di un espediente ottico che fa sembrare alcuni elementi realmente ritratti come parte di un fotomontaggio. Si tratta dunque di un unico scatto che riesce ad indurre nell'osservatore la sensazione di star osservando almeno due immagini sovrapposte.
INVITO
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