Maschere

Vai alla homepage di Grammatica dell'espressione visiva

25 di 34

Indice :

1 La sfida!

2 L'omino che trasporta il rettangolo bianco

3 Lulu/Valentina studentessa in Giappone

4 La maschera

5 Senza titolo (non voglio "soccombere" alla tentazione di usare la frase presente nell'immagine come titolo)

6 La vestizione dei sub-eroi sotto gli occhi delle donne

7 A passeggio nel parco?

8 Dall'alba al tramonto

9 La donna del mistero

10 Il potere del taglio

11 Rifrazioni

12 Le latenze del bianco

13 Il cuore sospeso nell'ombra

14 Da lì qualcuno ci guarda

15 Con titolo

16 Il cielo è azzurro dappertutto!

17 Teatro e pittura, digitale

18 Oldernet

19 Ciò che l'immagine non dice

20 Un lago in "attesa"

21 L'incidente

22 Body-Landscape Art

23 La paura ha un volto (o una maschera)

24 POP-UP

25 Maschere

26 La famiglia

27 Figli dell'iperrealismo

28 Capitani coraggiosi

29 Rettangoli di prato

30 I luoghi della varietà o discorso sul kitsch

31 Fotodinamismi

32 Supponiamo che sia vero, dopo tutto? E allora?

33 L'ambiguità del confine

34 Diruptio






All'interno della storia dell'arte sono tre i percorsi che si possono seguire per giungere a comprendere i modelli utilizzati in questa immagine.

Il primo percorso ha inizio molto indietro nel tempo, ad Atene nel V secolo a.c., agli albori del teatro occidentale. E' qui che le maschere, in epoca anteriore utilizzate solo a scopo rituale, cominciarono ad essere utilizzate dagli attori. Il loro utilizzo aveva due scopi: quello di caratterizzare i personaggi e quello di amplificarne la voce (fungendo da cassa di risonanza). La distanza tra attori e pubblico era spesso molto ampia (fino a 100 m) sicché era importante che si riconoscessero le espressioni del volto anche da lontano. Uno stesso attore impersonificava più ruoli, anche femminili (solo agli uomini era consentito recitare); le maschere, dall'aspetto diverso, permettevano al pubblico di comprendere facilmente il cambio di personaggio e ne mettevano in evidenza le caratteristiche. Gli occhi e la bocca di ogni maschera, volutamente ingranditi e marcati, mostravano il sentimento prevalente del personaggio.

Il secondo percorso ci conduce invece all'inizio del Novecento a Parigi, dove il dialogo (spesso scontro) tra due giovani artisti, Braque e Picasso, diede luogo a un nuovo metodo artistico che col tempo venne definito "collage" (inizialmente "papier collés"). Braque cominciò ad applicare ritagli di carta o cartone ai suoi disegni a carboncino; tali inserti, risultando elementi estranei o in contrasto con la continuità del tratto disegnato a mano, erano in grado di far emergere e mettere in evidenza le parti che andavano a rappresentare (ad esempio una carta col legno simulato era utilizzata dall'artista per caratterizzare il tronco di un albero). Picasso riprese questa idea e la utilizzò per i dipinti ad olio. Sulle tele questi collage (per i quali da subito vennero utilizzati elementi riciclati: giornali, pacchetti di sigarette, scatole di fiammiferi, carte da gioco ecc.) avevano una connotazione materica e offrivano una nuova prospettiva sulla pittura, lì dove gli inserti entravano in collisione con il piano della superficie dipinta. In questa prospettiva, il collage diveniva parte di un metodico riesame del rapporto tra pittura e scultura e cominciò a dare supporto tanto alle caratteristiche di un medium che dell’altro.

Ma se quelli di Braque e Picasso rimasero soltanto degli esperimenti, l'incontro tra due artisti tedeschi, John Heartfield e George Grosz a Berlino negli anni immediatamente successivi (1917), determinò la trasformazione del collage in una vera e propria forma d'arte. I due artisti, ritagliando porzioni di fotografie e rimontandole in modo creativo, diedero vita ad una satirica rappresentazione della società tedesca della Repubblica di Weimar prima e del periodo nazista poi. I fotomontaggi dei due artisti trovarono massima espressione negli sferzanti ritratti della classe dirigente, dei politici e dei militari tedeschi, il cui carattere predominante (come nel teatro greco, ma con accezione negativa) era messo in evidenza attraverso una esagerazione nelle dimensioni o nelle caratteristiche del volto o del corpo.

Pur provenendo dal contesto del teatro, un discorso a parte merita il fondo nero nell'immagine qui presentata. Il fondo nero su cui si stagliano (si muovono e agiscono) figure è una invenzione europea del teatro d'avanguardia. Nacque nel corso degli anni Cinquanta ad opera di un artista francese George Lafaille e immediatamente dopo dal confronto tra burattinai, attori e registi del teatro cecoslovacco, che condusse alla fondazione, da parte di Jiri Srnec, del Teatro Nero di Praga. Questo tipo di teatro faceva riferimento alla tradizione delle ombre cinesi, filtrata attraverso il teatro Burnaku giapponese e l'uso che del fondo nero faceva il cinema d'avanguardia per rappresentare le immagini della mente. Nel teatro nero attori completamente vestiti di nero agivano su un fondo ugualmente nero, risultando così completamente invisibili al pubblico, e muovevano oggetti maschere e personaggi che sembravano spostarsi autonomamente.

L'autore dell'immagine qui presentata ha costruito con semplicità ed efficacia un contesto nel quale il concetto di maschera delle origini del teatro occidentale è messo in rapporto con il fondale del teatro nero d'avanguardia; i personaggi che si "muovono" su questa scena sono soltanto dei volti (maschere) che caratterizzano una parte per il tutto (il corpo).

Non è mio compito interpretare le intenzioni dell'autore, tuttavia queste maschere, realizzate con fotomontaggi a collage, sembrano rappresentare, con la stessa sferzante ironia utilizzata dai dadaisti tedeschi nel descrivere la società tedesca prima della guerra, l'artificiosità dei canoni estetici delle donne occidentali di oggi.

Marco Izzolino


INVITO
Tutti gli utenti sono invitati a partecipare inviando un'immagine. Qui le indicazioni per partecipare alla Sfida: http://www.undo.net/it/my/gdev/124/251